Giustizia nel Berlusconi-ter -  'a nuttata è ancora lunga
Scritto il 07/05/08 alle 12:04:16 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Articoli e Opinioni

Espugnato Palazzo Chigi e il Campidoglio, archiviato in via definitiva il Dopoguerra, l'inedito appaesement tra vincitori e vinti nell'imminenza della prossima legislatura costituente è quasi un must. Forse perché dal centrodestra oggi non spirano più refoli, ma autentiche folate in grado di spingere parecchi, se non ad assidersi, quanto meno a lambire il predellino sul carro (armato)del vincitore.

Se n'è accorto persino "barbapapà" Scalfari, lesto come non mai nel disporsi all'autodafé dopo la lunga serie di topiche mediatiche sulle recenti evoluzioni del quadro politico. E non sfugge alla melassa neppure il Terzo potere, col gentlement's agreement del presidente dell'Anm Luerti che si dichiara pronto a collaborare col nuovo governo tra il sollievo di quanti mostrano di avere a cuore il rapporto, non sempre sereno, tra l'Ordine giudiziario e gli altri poteri dello Stato.

Date le troppe e troppo complesse questioni a margine, però, sarà dura. Nel mare magnum degli elementi di valutazione, spiccano tre snodi da cui far discendere buona parte dei vizi - politicizzazione, tempi biblici, ecc. - che hanno fin qui caratterizzato, affliggendola, la Giustizia dell'Italia repubblicana. Partendo da un significativo, ormai quarantennale episodio: il varo del concetto (poco) vagamente leninista di magistrato antisistema, sorta di contraltare giudiziario del legislatore - i cui tratti, secondo voci critiche, non sarebbe stato peregrino definire eversivi - teorizzato durante il congresso che l'ANM tenne a Trieste nel lontano 1970.

"Il significato concreto delle leggi dipende in primo luogo dalla scelta di valore fatta dall'interprete", recitava il leit motiv tra non pochi addetti ai lavori. Assioma su cui diverse toghe conversero, adombrando una "vocazione legislativa" che certi magistrati avrebbero dovuto perseguire mediante una relativistica interpretazione del momento attuativo delle norme. Una conclusione autoreferente e propedeutica ad una discrezionalità giudiziaria i cui cascami ancora oggi rappresentano una turbativa in grado di minare la credibilità della Giustizia.

Poi la riforma Andreotti-Vassalli del codice di procedura penale, varata nell'ottobre del 1989, ovvero la trasposizione in legge, a detta di autorevoli osservatori, di schematismi ideologici mutuati dalla sociologia giuridica statunitense secondo cui "(...) la verità processuale non è la conformità ai fatti reali accertabile d'ufficio con metodo empirico-scientifico e con ogni possibile strumento, bensì una verità di genere retorico-argomentativo che riesce a imporsi attraverso la logica dialettica del contraddittorio". Interpretazione che certo non concorse - tutt'altro - a frenare l'oggettiva e montante sensazione d'impunità nella sempre più vasta platea delinquenziale.

Infine il referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati, con ben l'80% dei cittadini che si espresse per la punibilità delle toghe. Una volontà inequivoca, cui però venne subito dopo sottratta ogni fattibilità con l'approvazione della cosiddetta legge Vassalli (ancora lui), votata da Pci, Psi, Dc - tanto per non fare torto a nessuno - a mezzo cui il (poco) dolce Leviatano si fece beffe della scelta referendaria, dirottando la responsabilità di eventuali errori non sul magistrato, ma sullo Stato. Che solo successivamente si sarebbe rivalso in termini pecuniari nei confronti della toga, ma non oltre un terzo degli emolumenti annui. Parafrasando un antico motteggio, fatto il referendum, trovata la legge. I migliori auguri di buon lavoro al dottor Luerti e a Silvio Berlusconi, dunque, ma 'a nuttata sarà ancora lunga.

Giorgio Colomba

http://www.giorgiocolomba.it


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