La grande ipocrisia del pubblico impiego |
| Scritto il 26/05/10 alle 17:52:55 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana |
Andamento lento, pausa caffè, “il Dottore è fuori stanza”, permessi a go-go, ferie lunghe, gente che si gira i pollici… tanto paga Pantalone… Ma è mai possibile che una baracca del genere possa rimanere in piedi? Finalmente siamo arrivati al redde rationem, tutti lo sapevano ma nessuno aveva il coraggio di dirlo: cari italiani, lo Stato ha finito i soldi, da adesso bisogna tirare (seriamente) la cinghia. Soluzioni al problema? Naturalmente sempre le solite due: aumentare la pressione fiscale oppure ridurre le spese. Scartata la prima ipotesi, francamente improponibile, vediamo di analizzare la seconda: ridurre le spese dello Stato. Per farlo mi servirò di un semplice esempio. Una piccola/media impresa – normalmente – ha un Ufficio commerciale con un responsabile e un paio di impiegati. Quell’ufficio ha enormi responsabilità, “muove” decine di milioni di euro all’anno e mantiene contatti con mezzo mondo. Tutti corrono (corrono!), tre settimane di ferie all’anno, permessi pochi, malattie brevi please. Questo è “il segreto” per far funzionare le cose “nel privato”, tutto molto banale e di buon senso. Non servono fior fiore di economisti per capirlo, basta che “il padrone” di quell’impresa si faccia quattro conti in tasca per vedere che non può permettersi più personale (anche se gli farebbe comodo) perché altrimenti “sballa” il conto economico. E adesso vediamo cosa succede “nel pubblico”. Analogo ufficio, stesse mansioni, stesso movimento di denaro, stesse responsabilità: un dirigente, due vice-dirigenti, decine di impiegati, andamento lento, pausa caffè, “il Dottore è fuori stanza”, permessi a go-go, ferie lunghe, gente che si gira i pollici… tanto paga Pantalone… Ma è mai possibile che una baracca del genere possa rimanere in piedi? E chi controlla, chi è “il padrone” che tiene d’occhio i conti? Lo Stato, cioè altri. Dirigenti statali, cioè… nessuno! Allora – per favore – smettiamola una volta per tutte con l’insopportabile ipocrisia dei “poveri dipendenti statali (3 milioni e mezzo!) sfruttati e sottopagati”. Che vengano a dare un’occhiata come si lavora “nel privato”, tanto per farsi un’idea di cosa vuol dire lavorare seriamente… Quindi – per finire – la soluzione drastica: blocco totale (e totale vuol dire totale, altro che 400.000 nuovi “stabilizzati”) del turn-over “nel pubblico” per almeno dieci anni, riduzione delle piante organiche prendendo come benchmark quelle delle imprese private, controlli esterni (controlli veri!) di manager provenienti dal settore privato con possibilità di licenziamento immediato (a pedate nel sedere) per i dipendenti pubblici palesemente infedeli, fannulloni o falsi malati (e niente pensione). Con questa “cura da cavallo” forse – e dico forse – in un paio di lustri si potrebbe ridare dignità al pubblico impiego. Naturalmente la cosa è improponibile… si rischia la rivoluzione. E allora rassegnamoci ad essere spremuti come dei limoni – per i prossimi cento anni – per pagare un inutile e pletorico esercito di dipendenti pubblici sotto-utilizzati, non motivati e sotto-pagati. http://www.thefrontpage.it/2010/05/26/la-grande-ipocrisia-del-pubblico-impiego/ |
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