''L'IDV E' UN CARROZZONE CLIENTELARE''
Scritto il 08/07/10 alle 11:39:07 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Politica"O MI DAI L'ASSESSORATO O VADO ALL'OPPOSIZIONE". Tonino vittima del fuoco "amico"/color]
Il momento più triste è stato quando il presidente Antonio Di Pietro ha annunciato che la festa (o assemblea) programmatica del partito quest'anno non si terrà a Vasto. Un brusio dolente e sorpreso ha attraversato la platea dell'Italia dei Valori. Un simile affronto alla tradizione non se lo aspettava nessuno, nessuno dei dipietristi  riuniti al cospetto dell'esecutivo nazionale del partito, lunedì  5 luglio, a Roma in una sala convegni di Piazza Montecitorio. Appuntamento ristretto,  con i  microfoni e le telecamere fuori dalla porta. "La festa si svolgerà dal 14 al 17 ottobre - ha proseguito l'ex pm ed ex ministro -. E in quel periodo non possiamo farla all'aperto, per non rischiare che piova. A Vasto non ci sono le strutture ricettive per organizzarla al chiuso. La faremo a Rimini o a Riccione".  E perché non a settembre come tutti gli anni? Impossibile. "Non riusciremmo in tempo", ha spiegato Tonino.  Perché ora la priorità è un'altra: "Fino al 30 luglio tenteremo in tutti i modi di depositare le firme"

Già, le firme. Quelle dei tre quesiti referendari: sull'acqua pubblica, sul no alle centrali nucleari e contro la legge sul legittimo impedimento. Il giorno stesso era trapelata sul Giornale una lettera del leader all'Idv della Lombardia in cui li invitava bruscamente a darsi maggiormente da fare a una ventina di giorni dalla deadline. Parlando liberamente davanti ai suoi, Di Pietro ha sfogato lo scoramento: "Ivan è abbastanza ottimista, io lo sono molto meno. A parte un paio di regioni, nessuna è arrivata al numero di firme previsto. Insomma, sul referendum dico: bah!".

Ivan è Ivan Rota, il responsabile per l'organizzazione nazionale dell'Idv. Un parlamentare lombardo che poco prima dal palco aveva esclamato: "Entro il 30 di luglio celebreremo tutti i congressi provinciali, tranne qualche eccezione, e centreremo anche il risultato referendario, però gli altri dal giorno dopo la smettano di rompere, perché non se ne può più di parolai e di professoroni che raccontano quello che dobbiamo fare". Gli "altri" cui Rota si riferiva nella sua applauditissima orazione non sono i ministri del Pdl o i dirimpettai del Pd, ma membri del suo stesso partito; e le critiche dei "professoroni" sono almeno in parte quelle riguardanti i congressi provinciali, alcuni ancora in corso, che a volte si sono trasformati in una guerra dagli esiti contestati. In Calabria, soprattutto: a Reggio e a Cosenza.  

In particolare a Cosenza, dove ha vinto Emilio De Bartolo, sì, ma con il ritiro polemico della mozione avversaria, guidata da Domenico Frammartino, secondo cui una parte dei votanti (ritenuti dell'altra parte) si erano iscritti all'Idv dopo il termine consentito.  Ma evidentemente non sono stati quelli di Frammartino gli attacchi che a Rota sono dispiaciuti di più. Perché sempre dal palco dichiarerà: "Non si può legittimare chi sostiene che il partito è un carrozzone clientelare contrassegnato da elenchi degli iscritti inaffidabili". Frase estratta pari pari da un durissimo comunicato  di Pino Arlacchi - esperto dell'antimafia, ex ds, ed europarlamentare dipietrista dal 2009 - in riferimento proprio ai fatti di Cosenza. Parole cui Rota ha ribattuto: "Il partito non è affatto un carrozzone, semmai si è rivelato una comoda carrozza per qualcuno".

Lo scontro nell'Idv è infatti tutto fra la "vecchia guardia", che si sente trascurata e spesso bacchettata ingiustamente, e i "nuovi". Che sono di due specie: quelli provenienti da partiti anche apparentemente lontani come Forza Italia e l'Udeur (ben l'11,9% dei neo-dipietristi sono ex mastelliani, secondo un calcolo dell'ex Idv Pino Pisicchio); e la recente infornata di parlamentari europei di prestigio e d'impatto mediatico, fra cui lo stesso Arlacchi, Sonia  Alfano e ovviamente Luigi De Magistris, ormai ritenuto un po' il contraltare interno del leader molisano. A differenza di Arlacchi, De Magistris non era presente all'esecutivo perché impegnato in una sessione plenaria a Strasburgo.

Sulla bagarre congressuale intestina, Di Pietro è intervenuto poco dopo, da paciere: "In Calabria, ci sono delle questioni che vanno affrontate: ci sono state delle incomprensioni con tante buone ragioni da una parte e dall'altra, ma si possono risolvere". Ha annunciato che il 29 luglio sarà proprio in quella regione: "Sarebbe bello se quel giorno si potesse fare una festa di riconciliazione". Una ricomposizione rapida, lontana dai clamori delle cronache: "Lo dico anche riguardo alle altre regioni:  è meglio riunirsi fra quattro o cinque persone e trovare una soluzione subito". E si è lamentato: "Stamattina mi è arrivata l'iradiddio dalla Sardegna e da Monza!". Proteste, evidentemente. Perché congressi assai criticati sono stati anche quelli del  Sulcis-Iglesiente e appunto Monza, con attacchi rivolti anche a Rota che è di quelle parti.  

Rismessi i panni comprensivi, Di Pietro ha dato un'altra strigliata ad alcuni dei suoi. Ha tirato le orecchie a quelli che, nelle amministrazioni locali, se ne escono pubblicamente con un "o mi dai l'assessorato o faccio l'appoggio esterno, o vado all'opposizione". Perché, ha spiegato,  "è come darsi una pugnalata da soli". E ancora: "Una cosa è lavorare affinché questo avvenga, perché è chiaro che dobbiamo assumere posti di responsabilità... Ma questo va discusso nelle riunioni, non bisogna dichiararlo pubblicamente o nelle interviste... oltre a essere un ricatto incivile, sul piano comunicazionale è una stupidaggine atroce. Faccio l'esempio di Bari, di Napoli, di Campobasso, di Ancona. Non voglio più vedere queste cose qui. Se non sapete come si fa la comunicazione, non fatela".
Così parlò, chiarissimo, Tonino. Ad ascoltarlo, in sala, a un partito teso, incerto, e mai come ora diviso.
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