FINI - E ora dimissioni
Scritto il 06/09/10 alle 18:00:51 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
PoliticaSe avesse voluto dare la conferma che la decisione del 29 luglio dell'Ufficio politico del Pdl fosse l'unica possibile, Gianfranco Fini non poteva fare di meglio
Il suo discorso di ieri a Mirabello, infatti, è stato povero di idee e carico di banalità. Non disponendo di un pensiero in proprio – fatto già dimostrato dalla tante oscillazioni strategiche vissute dal 1993 a oggi – Gianfranco Fini ha preso in prestito tutto il politically correct degli altri, stando ben attendo a non dimenticare nessuno tra l'opposizione.

Così ha esordito manifestando l'indignazione per l'accoglienza al presidente libico Gheddafi (a cui evidentemente non ha perdonato il “bidone” che gli diede a giugno scorso, quando non si presentò all'incontro previsto a Montecitorio “per la preghiera islamica del venerdì”), ha proseguito con gli attacchi personali al premier, spacciandoli per battute spiritose, e poi ha fatto proprie istanze di ogni partito di opposizione.

Con il Pd è andato d'accordo sui precari della scuola, sulla contestazione alla manovra di bilancio (i cosiddetti tagli lineari), sulla polemica sul ministro dello sviluppo economico. Con Di Pietro ha cercato l'intesa sulla difesa ideologica della magistratura e del suo corporativismo e sulla necessità di introdurre un “codice etico” per gli uomini politici (e in effetti i due, in quanto a codice etico vanno d'accordo, se pensiamo alla Mercedes e ai cento milioni in una scatola da scarpe oppure alla casa a Montecarlo e ai contratti – poi annullati – della famiglia con la Rai). Con l'Udc ha cercato l'intesa sulla contrapposizione alla Lega e sul quoziente familiare. Una strizzata d'occhio l'ha riservata anche al meridionalismo assistenzialista dell'Mpa di Lombardo, mettendosi a farfugliare di  metodi “perequativi” per definire i costi standard.

Gli unici con cui non ha trovato una singola ragione d'intesa sono stati il Pdl – che secondo Fini non c'è più – e la Lega a cui ha riservato una buona dose di retorica unitaria.

C'è stato poi l'equilibrismo con il quale Fini ha affrontato la persecuzione politico-giudiziaria di Berlusconi. E ha dato prova di totale inconsistenza di pensiero. Fini, infatti, si è detto favorevole al "processo breve" con gli stessi argomenti per i quali è stato proposto e approvato. Peccato che abbia aggiunto la sua contrarietà alla retroattività, dimenticando che uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto e della giustizia liberale è il favor rei, in base al quale - prima di una sentenza definitiva - si applica sempre la norma più favorevole all'imputato. Ma Fini, che pure strologa di "partito liberale di massa", chiama il garantissmo "principio" e lo contrappone a impunità, dimostrandosi liberale quanto Piercamillo Davigo e sicuramente meno di Alfredo Rocco.

Non si comprende, allora, perché il nuovo “coso” fondato da Fini – un “coso” che presenterà liste alle elezioni amministrative, dispone di gruppi parlamentari e relativi finanziamenti, di giornali di partito e relativi finanziamenti, di fondazioni e relativi finanziamenti – dovrebbe essere fedele al patto elettorale stipulato da Pdl e Lega.

Inoltre, ed è l'unica novità vera segnata dal discorso di Mirabello, Fini è tornato titolare di un soggetto politico del quale deciderà linea tattica e scelte quotidiane. E non saranno certo i capigruppo Bocchino e Viespoli a tracciare la linea. Né, tanto meno, potrà farlo il ministro Ronchi. Ecco, allora, perché – se Fini vuole tenere minimamente fede a quel rispetto delle istituzioni che ieri ha invocato con una implicita accusa nei confronti del Pdl e del suo leader – deve dimettersi da Presidente della Camera, per non trascinare l'istituzione nello scontro politico che Fini stesso ha provocato.

Giorgio Stracquadanio
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