FIRENZE - Counter Jihad 2008
Scritto il 22/12/08 alle 17:51:18 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Incontri ed EventiIntervento di Paolo Gattari (FONDAZIONE UGO LA MALFA)

Sono onorato di essere qui nel giorno dedicato agli approfondimenti delle tematiche sulle quali Oriana Fallaci ha risvegliato le nostre coscienze, ed è proprio a Oriana Fallaci che rivolgo il mio ideale saluto.
 
Userò il tempo a mia disposizione per sottolineare la grande contraddizione che ho cominciato a  osservare dall’11 settembre 2001, all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle, data in cui il dibattito sul cosiddetto scontro di civiltà ha assunto un’importanza fondamentale agli occhi dell’opinione pubblica.
 
Il confronto tra la cultura islamica e quella occidentale è una problematica innanzitutto di natura antropologica. L'antropologia infatti ha come oggetto proprio lo studio delle culture, della loro struttura e soprattutto delle modalità attraverso le quali i vari gruppi umani, organizzati socialmente, affrontano il rapporto con l’alterità
 
La contraddizione alquanto bizzarra vuole però che nel caso di pubblici incontri in cui si affrontano esattamente queste tematiche gli antropologi siano sempre assenti. E la stessa assenza si può riscontrare anche sulla stampa nel caso di approfondimenti tematici o all’interno di strutture deputate allo studio e alla gestione del problema a livello governativo. Ho parlato di bizzarria perché, visto l’oggetto del suo studio, la prospettiva antropologica potrebbe essere stimolante e utile per la comprensione di un problema così controverso.
 
In Italia il fenomeno è più evidente che all’estero e questo è ancor più strano se si pensa alla notevole tradizione di studi antropologici che il nostro paese vanta. Quando si assiste a un dibattito durante il quale vengono affrontati i temi dell’incontro tra culture sono solitamente presenti il politico, per analizzare in quale modo si può gestire il problema, il sociologo, per indagare soprattutto le statistiche demografiche, e poi il sacerdote per avere risposte in relazione al fenomeno da un punto di vista etico, rafforzando così l’identificazione dell’etica con la religione e della religione con la religione cattolica (vedi intervista a Luigi Maria Lombardi Satriani su http://www.fulm.org ).
 
Un esempio lampante di questa contraddizione e della clandestinità della disciplina antropologica nel nostro paese viene dall’analisi della posizione che il Centrosinistra e ancor più la sinistra radicale, hanno sviluppato in questi anni in materia di rapporto con le altre culture, in special modo con quella islamica. In moltissime dichiarazioni rilasciate da esponenti di questi schieramenti in occasione di confronti sull’argomento, nonché su giornali e mezzi di comunicazione da parte di giornalisti politicamente schierati, è facile osservare l’assoluta infatuazione nei confronti dell’istanza relativista. La legittimità di tutte le culture e la loro pari dignità sono la risposta a tutte le problematiche legate all’incontro di civiltà qui in Italia, che molto in ritardo rispetto agli altri paesi europei e extraeuropei, sta vivendo  negli ultimi decenni un momento di forte immigrazione.
 
Ma qual è il valore di una posizione profondamente relativista abbracciata nel 2008 alla luce degli studi che si sono susseguiti negli ultimi 50 anni di storia dell’antropologia culturale?
Fu proprio un antropologo italiano, Ernesto de Martino, a proporre all’attenzione degli antropologi internazionali il superamento della storica dicotomia etnocentrismo-relativismo attraverso la formulazione del concetto di “etnocentrismo critico”. Attraverso questa categoria si supera la considerazione della superiorità acritica della propria cultura rispetto alle altre, caratteristica dell’approccio antropologico ottocentesco di matrice evoluzionista, e nello stesso tempo si supera anche l’assunto per cui tutte le manifestazioni culturali sono legittime e posseggono pari dignità.
Nell’etnocentrismo critico invece l’approccio allo studio delle altre culture non prescinde dalla considerazione della centralità della cultura osservante, soprattutto per quanto riguarda le categorie di giudizio che sono appunto fondate sui parametri culturali dell’osservante. L’etnocentrismo così strutturato diviene dunque critico perché considera fondanti le categorie d’osservazione pur non mettendo al di sopra delle altre culture quella di appartenenza.  
 
Non è casuale che abbia preso come esempio il mondo di sinistra per sottolineare l’oblio che subisce l’antropologia. Infatti Ernesto de Martino fu un intellettuale di innegabile radice marxista, formato sulla lettura di autori come Antonio Gramsci e Ignazio Silone. Ciò nonostante lui e la sua disciplina sono dimenticati per primi proprio dagli appartenenti alla sua stessa “famiglia” culturale.
 
In conclusione vorrei sottolineare che è proprio in questo periodo che dovremmo recuperare un pensiero critico valorizzando il contributo che l’antropologia può dare per il superamento della visione dell’altro come nemico o come diverso non passibile di giudizio o censura. Al contrario non dobbiamo dimenticare che sono proprio le nostre categorie culturali a farci da guida per la comprensione delle altre culture e che sono le nostre regole civili e giuridiche che governano il nostro Paese, a prescindere da chi decide liberamente (perché siamo un paese libero che lo permette) di viverci.
 
 
Intervanto di Paolo Gattari durante il “Counter Jihad 2008”, organizzato dall’associazione “Una via per Oriana”, svolto a Firenze per il secondo anno consecutivo nei giorni 14 e 15 settembre 2008.

Paolo Gattari

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