ENZO BIAGI E GIORGIO ALMIRANTE: UN DOPPIOPESISMO RIPUGNANTE
Scritto il 26/02/09 alle 12:13:31 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Articoli e OpinioniQuesto è l 'uomo a cui la Comunita' ebraica di Milano ha intitolato un non meglio precisato "corso di giornalismo"
Potreste dire: "vabbeh era giovane ,,,"  E allora io chiedo : non lo era anche Giorgio Almirante quando scrisse qualche articolo su " la difesa della razza ?
 
In effetti qualche differenza tra Giorgio Almirante e Enzo Biagi c'è :  Giorgio Almirante negli ultimi mesi di guerra rimase al suo posto, salvo' dai nazisti i coniugi Levi di Torino a rischio della propria vita , e dopo la guerra continuo' a essere di destra .
Enzo Biagi , negli ultimi mesi di guerra, scappo' a gambe levate nei boschi , si tolse la camicia nera, indosso' il fazzoletto rosso tipico dei partigiani e, dopo la guerra passo' dalla parte di chi aveva vinto con assoluta disinvoltura. Naturalmente, la sua vicenda antiberlusconiana lo consacro' come Mito e Martire della sinistra italiana, nonostante nessuno prima e dopo di lui  avesse mai lavorato fino a 80 anni in prima serata , e nonostante una liquidazione multimilionaria ottenuta dalla Rai gia' sommersa dai debiti gravanti sul contribuente italiota .
Ecco i motivi per i quali la Comunita' ebraica dedica a lui un " corso per giovani giornalisti ", e ad Almirante solo insulti e pernacchie . Complimenti

IL PASSATO ANTI SEMITA DI ENZO BIAGI - crolla un altro totem, avremo un tabù in meno

di Dimitri Buffa

12/11/2007 - 19:09
IL PASSATO ANTI SEMITA DI ENZO BIAGI Ai suoi funerali hanno cantato tutti in coro “Bella ciao”. E nel ricordo del cardinal Ersilio Tonini, che ne ha appassionatamente difeso in televisione, da Santoro ad “Anno zero”, la memoria dai pregressi sgarbi politici di Berlusconi (cosiddetto editto bulgaro) molto si è insistito sul suo passato da partigiano.

Ma se nel resto della propria vita Enzo Biagi è stato quel colosso di giornalismo che tutti riconoscono, differenziandosi dai più anche per l’indubbia statura morale, da giovane il futuro conduttore de “Il fatto” non sempre ha fatto le scelte migliori. In particolare Biagi quando era in vita non ha mai affrontato un serio mea culpa sul proprio esordio giornalistico in fogliacci del regime fascista. Né le proprie posizioni letteralmente antisemite tra il 1938 e il 1943 tenute su pubblicazioni come “L’avvenire d’Italia” e “L’assalto”.

Contrariamente al noto scrittore tedesco Gunther Grass, Biagi non ha mai fatto outing sul proprio impresentabile passato fascista. Di lui in particolare i due storici Gaspare e Roberto de Caro, padre e figlio molto impegnati in un’opera globale di rilettura di persone oggi mitizzate dalla sinistra e del loro comportamento in quei giorni a cavallo degli anni ’40, ricordano una recensione, entusiastica in maniera sconcertante, del famigerato film della propaganda nazista “Sus l’ebreo”.

Una pellicola finanziata da Goring per giustificare il disegno sterminatore di Hitler e dei nazisti. La citazione i due autori la traggono da un libro di Nazario Sauro Onofri: I giornali bolognesi nel ventennio fascista, Moderna, Bologna 1972, p. 159. Ecco come descriveva quel terribile film il giovane Marco Enzo Biagi, allora si firmava così, su “L’assalto” dell’8 ottobre 1941: “un cinema di propaganda. Ma una propaganda che non esclude l'arte - che è posta al servizio dell'idea”. E nella recensione si lasciava andare a queste considerazioni: “Süss, l'ebreo ricorda certe vecchie efficaci e morali produzioni imperniate sul contrasto tra il buono e il cattivo [...], trascina il pubblico all'entusiasmo.. l'ebreo Süss è posto a indicare una mentalità, un sistema e una morale: va oltre il limite del particolare, per assumere il valore di simbolo, per esprimere le caratteristiche inconfutabili di una totalità. Poiché l'opera è umana e razionale incontra l'approvazione: e raggiunge lo scopo: molta gente apprende che cosa è l'ebraismo, e ne capisce i moventi della battaglia che lo combatte..

” Precedentemente, il 23 agosto 1941, sempre sul periodico “L’assalto”, Biagi invocò con urgenza profetica “un'opera di purificazione indispensabile specialmente nelle maggiori città dell'Italia settentrionale e centrale (Roma, dove ci sono ancora troppi ebrei, compresa)”. Non è forse inutile precisare e ricordare che proprio a Roma due anni dopo, di ottobre, circa settemila ebrei vennero deportati in un solo giorno. E di essi meno dell’1% tornò vivo in Italia dai campi di sterminio di Auschwitz e Dachau. Molti oggi si interrogano sull’utilità di rinvangare questi erorri di gioventù, che possono gettare ombre su un personaggio che invece quasi tutti tendono ad idolatrare a tutto tondo. Tra questi però, non ci sono i due storici su citati, uomini della sinistra che un tempo si sarebbe detta “trontiana”, dal nome del filosofo Tronti, che insieme ad Asor Rosa e a De Caro padre, fondò nei primi anni ’60 una vera e propria scuola filosofica e storico-politica dentro quella sinistra che all’epoca non aveva paura di chiamarsi comunista. I due De Caro non sono quindi sospettabili di revisionismo. Né di simpatie destrorse come quelle di cui venne accusato Renzo de Felice. E hanno anche trattato questo delicato argomento del passaggio di tanti arditi in camicia nera nelle file della sinistra nell’immediato dopoguerra in un importante capitolo di un libro uscito recentemente per le edizioni del Colibrì dal nome che è tutto un programma: “La sinistra e la guerra”.

Dentro ci sono nomi di uomini della sinistra, dell’ex Pci, sindaci, politici di professione, scrittori e anche giornalisti come Biagi. Sul quale è stata fatta una ricerca molto accurata anche a proposito dei vantati trascorsi partigiani: “Biagi rimase al servizio della causa repubblichina fino alla tarda primavera del '44, continuando a svolgere compiti redazionali e a compilare le sue scialbe schedine cinematografiche, cellule staminali delle opere a venire. L'ultimo articolo apparve il 17 giugno su Settimana: illustrato del «Resto del Carlino», insieme all'intervento, assai più autorevole, di un suo giovane collega, Giovanni Spadolini, che sfoderava una devastante critica del liberalismo, prima di inabissarsi nel refettorio di qualche convento in attesa di risorgere après le déluge liberaldemocratico in altra Repubblica.

La caduta di Roma e lo sbarco in Normandia avevano illuminato definitivamente il futuro, e quando giunse, non più aggirabile, la chiamata alle armi nell'esercito di Salò Enzo Marco preferì la montagna, come altri giornalisti, la categoria che, più di ogni altra, era stata curata, selezionata, vezzeggiata dal regime, oltre che strapagata”. Il saggio dei fratelli De Caro si chiude con una condanna inappellabile su Biagi e il suo modo di esser giornalista, oggi come ieri: “Tornò a Bologna dieci mesi dopo, con indosso una divisa dell'esercito statunitense: sempre à la page, il Biagi. Se riscattò con la sua tardiva conversione quegli «anni di servilismo e di abiezione professionale e morale» (Nazario Sauro Onofri, I giornali bolognesi nel ventennio fascista, Moderna, Bologna 1972, p. 264), non è dato sapere con certezza. Forse.

Ciò che invece è sicuro è che fu complice attivo e non accidentale delle nefandezze del fascismo: poteva scegliere e lo fece. Non era il solo? Non è un alibi, come ammonisce Hannah Arendt. Era giovane? Non abbastanza: aveva l'età di Piero Gobetti quando fu bastonato a morte e delle decine di migliaia di connazionali che il regime mandò a uccidere e morire mentre lui si assicurava i dividendi di spettanza. E se l'Asse avesse vinto la guerra, che gli sarebbe successo? Be', questo è facile: Auschwitz o no, avrebbe percorso la sua brillante carriera, come poi ha fatto. All'ombra del potere in fiore.”

Dimitri Buffa

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