Pubblicato il 18/07/09 alle 23:03:27 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
IL NOVECENTO E LE MENZOGNE DELLA STORIOGRAFIA “MILITANTE” COMUNISTA Ogni volta che mi appresto a recensire qualche libro che ho letto (a proposito non tutti quelli che firmano una recensione di un libro lo hanno letto) mi ricordo di una frase di un amico che alcuni anni fa mentre eravamo riuniti in una sede di partito a S. Teresa, stavo leggendo qualche brano del libro Rivoluzione e Controrivoluzione del prof. Plinio Correa de Oliveira, ad un tratto l’amico garbatamente mi invitava a nascondere il libro perché se entrava qualcuno in sede c’era il rischio che ci prendesse tutti in giro. Ora ricordando quell’episodio, ho qualche timore (spero di sbagliarmi) che qualcuno m’irrida perché “perdo tempo” leggendo libri.
Oggi presento Le Grandi menzogne della storia contemporanea, di Sandro Fontana, edito dalle Edizioni Ares di Milano (pp.142 e.14), diamo il sito (http://www.ares.mi.it).
Il professor Fontana stimolato da Giuseppe Bertagna, un altro insigne professore, tiene una rubrica sulla rivista Nuova Secondaria, dedicata alle “grandi menzogne della storia contemporanea”. L’intento è quello non tanto di denunciare in astratto la presenza della menzogna nella storia, ma di dimostrare in concreto, cioè caso per caso, come si siano verificate determinate forme di falsificazione della realtà e come da queste ricostruzioni artefatte siano stati ricavati certi miti che hanno condizionato a lungo la vita dei popoli.
E poiché la Verità è l’unica carità concessa alla Storia, il professor Fontana nel testo delle edizioni Ares affronta 12 temi caldi dove secondo lui a volte intenzionalmente si é fatto a meno dei fatti e dei documenti per trasformare alcuni episodi storici in una sorta di “icona”, di “vulgata”, come nel caso della strage di Marzabotto, durante la guerra civile 1943-45, trattata nell’ultimo capitolo.
Sandro Fontana nell’introduzione al testo scrive subito senza mezzi termini che i lettori non devono sorprendersi se, tra le grandi menzogne dell’età contemporanea, prevalgono quelle che sono state ispirate dal comunismo e dai regimi soggiogati da questa ideologia totalitaria. Non poteva che essere così per il professore visto che il comunismo da solo è riuscito a condizionare la vita politica e sociale di tanti popoli della terra e a soggiogare con i suoi metodi e con le sue menzogne, interi continenti. Nel 1°capitolo inizia con il cosiddetto mito della vittoria mutilata, si riferisce alla partecipazione dell’Italia alla 1 guerra mondiale, decisa da tre persone e che avrebbe causato 600 mila morti, il governo italiano dalla vittoria pensava di ottenere più territori, invece come sappiamo furono pochi e così toccò a D’Annunzio trasformare il mito della vittoria mutilata in una sorta di epopea garibaldina capeggiando, nel settembre del 1919, una spedizione a Fiume.
Nel 2°capitolo, partendo da Vittorio Strada, il maggiore studioso italiano della storia e della letteratura russa, in particolare dalla sua ultima opera, La Rivoluzione svelata, sottotitolo, Una lettura nuova dell’ottobre 1917. In quest’opera sono demoliti tutte le falsità e i luoghi comuni sulla rivoluzione bolscevica, facendo parlare i testimoni diretti del colpo di Stato che portò alla liquidazione del governo socialdemocratico di Kerenskij e non dell’impero zarista, come si è sempre scritto. Nel 1918 avevano descritto tutto in un significativo libro De profundis, undici autori che poi furono costretti ad abbandonare il Paese, il libro si rese introvabile per poi venire alla luce soltanto nel 1990, gli autori, a un anno dallo scoppio della rivoluzione, erano consapevoli del fatto che gli eventi, cui venivano assistendo, avrebbero rappresentato ‘una catastrofe per la Russia e una minaccia per il mondo’. Si descrive l’inevitabile invasamento demoniaco dei bolscevichi, alle due colonne del regime: l’apparato propagandistico e quello poliziesco.
La descrizione del capo del bolscevismo Lenin, privo di qualsiasi spirito di compromesso, egli odiava tutti. Nel 3° capitolo si prende in esame la complicità e l’omertà che i crimini dei comunisti sono riusciti a trovare nei Paesi occidentali. Eppure non era necessario attendere la caduta del Muro nel novembre 1989 per conoscere la tragica realtà dei Paesi sfortunati che avevano subito il comunismo. Ci sono anche le testimonianze dei protagonisti di questi crimini come Victor Kravchenko, che scala tutti i gradini della numenklatura sovietica, quando nel 1946 il suo racconto attento e fedele, descrive lo sterminio di oltre venti milioni di contadini, la terribile e spietata carestia artificiale voluta da Stalin. Insomma fin dal 1946, cioè da quando fu pubblicata l’autobiografia di Kravchenko, il mondo occidentale conosceva l’orrore dei regimi comunisti. Ma allora perché si è taciuto così a lungo? Si chiede Fontana. Perché, nel frattempo, non sono stati denunciati e impediti altri crimini e altri orrori? Perché, per conoscere la verità, abbiamo dovuto attendere il crollo del Muro?
A queste domande dovrebbero rispondere in particolare i dirigenti del più grande Partito Comunista in Occidente, cioè il Pci di Togliatti e tutti gli altri, ma anche tutta quella schiera di giornalisti, intellettuali che hanno fatto da scudo al più grande crimine della Storia del Novecento. Fontana racconta l’episodio della Biennale di Venezia del 1977, dedicata al dissenso politico e culturale dell’Unione Sovietica, dove il Pci e l’intera galassia della cultura ufficiale italiana fece di tutto per boicottare l’evento. Il “sovietismo” imperante a quel tempo in Italia era predominante. Il Pci era presente, in parte ancora oggi, in ogni manifestazione della cultura italiana, dalle università alle case editrici, dai giornali, alle scuole, dalle arti visive a quelle cinematografiche, teatrali e televisive. I comunisti nonostante la lunga scia di sangue che hanno prodotto nei luoghi dove hanno imperato, sono riusciti a passare perfino come i più grandi partigiani della Pace. Dagli anni 50 prende il via in Occidente, in particolare in Italia e Francia, un’azione capillare, continuativa e ossessiva di propaganda pacifista sotto la guida mondiale di Stalin e all’insegna della doppiezza e della menzogna.
Nel 7°capitolo Fontana affronta la menzogna della Resistenza tradita. I partigiani comunisti nonostante fossero una minoranza hanno conquistato il controllo politico-militare delle bande partigiane a danno delle altre cattoliche e azioniste e quindi si sentivano investiti da compiti rivoluzionari di portata storica. Attendevano una insurrezione popolare, studiata e sognata sulla base dei canoni scolastici del leninismo, che non si verificò mai.
L’Italia doveva sottostare agli accordi di Jalta e Togliatti lo sapeva benissimo, però faceva passare lo stesso la favola della resistenza tradita, nonostante apparisse evidente fin dal 1945 che la lotta per la liberazione nazionale non potesse avere in Italia esiti rivoluzionari, la menzogna ideologica del tradimento della Resistenza venne, anche per trasferire la rabbia dei militanti comunisti delusi in una nuova attesa messianica, utilizzata con forza in chiave politica e propagandistica dal partito comunista. Il quale mirava, come ha scritto Galle della Loggia, da un lato, a ‘delegittimare il principale protagonista (la DC) dei nuovi equilibri nati dopo la Liberazione’ e, dall’altro,‘a rivendicare alla parte rimasta soccombente (il Pci) il ruolo di solo erede legittimo dei valori alla base della stessa Resistenza.
A pagina 68 l’autore affronta il tema dell’inganno della “Terza via” berlingueriana. Il Pci di Berlinguer doveva essere diverso dagli altri partiti e soprattutto doveva essere autonomo dall’Unione Sovietica, ma l’analisi politica del segretario del Pci, pochi anni prima del crollo rovinoso dell’impero sovietico, derivava da due certezze che avevano sempre sorretto la sua azione politica: la superiorità del sistema sovietico rispetto ad ogni soluzione socialdemocratica, la fuoriuscita dell’Italia dal capitalismo, insomma scrive Fontana, fino alla vigilia della morte, Berlinguer faceva proprio il dogma leninista della ‘classe operaia come classe generale’, cioè posseduta dalla missione storica di egemonizzare i ceti medi per far progredire l’intera società.
Il libro di Sandro Fontana si sforza di evidenziare tra le altre cose il perché il mito dell’Unione Sovietica abbia avuto una così diffusa compiacenza a livello mondiale. E'’stupefacente, che nonostante il comunismo sovietico si sia macchiato di crimini orrendi, in pratica ha combattuto una guerra contro il suo stesso popolo, una cosa senza precedenti storici, godette di grandissima ammirazione in Occidente, e nel resto del mondo, conquistandosi legioni di seguaci, che diedero vita a una miriade di partiti, sindacati, enti, associazioni, case editrici, riviste, con la relativa produzione culturale e azione politico-sociale. A tutto questo è necessario trovare una spiegazione, anche perché ancora in Italia, ci sono partiti che si richiamano esplicitamente al comunismo. Perché questo mito dura ancora?
La prova Fontana l’ha avuta al convegno del 2003 svolto a Milano sul tema: “Il comunismo nella storia del Novecento. Il caso sovietico & Quello italiano”, organizzato dalla Fondazione Micheletti di Brescia. Nonostante le tante insistenze nessuno storico d’area ex comunista o Ds ha accettato di partecipare. Il Gota degli intellettuali comunisti preferisce disertare, non confrontarsi.
Infine Fontana presenta la strage di Marzabotto, anche qui i comunisti hanno creato una leggenda, un mito, che viene smascherato da don Dario Zanini, nel libro Marzabotto e dintorni: 1944. Ma vi lascio alla lettura del libro di Fontana spero.
S. Teresa di Riva, 13 luglio 2009 - Festa di S. Enrico Imperatore DOMENICO BONVEGNA domenicobonvegna@alice.it