URLA E STREPITI? Toh, è stato Prodi a prenotare il Tfr
Pubblicato il 10/12/09 alle 13:36:55 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
L'opposizione denuncia lo scippo ai lavoratori nella manovra, ma fu l'Unione a lanciare il fondo da 6 mld. Il Professore si inventò l'uso delle liquidazioni per spese varie Urla e strepiti di ogni sorta. Per l'opposizione, questa volta compatta, e gran parte dei sindacati, l'utilizzo di 3,1 miliardi di tfr (trattamento di fine rapporto) per coprire parte della Finanziaria 2010 rappresenta «uno scippo» ai lavoratori. Il ragionamento, che teoricamente può anche non fare una piega, è che si tratta di soldi dei lavoratori, ovvero delle liquidazioni che prima o poi devono essere restituite. Insomma, il ministro dell'economia, Giulio Tremonti, sarebbe colpevole del presunto «scippo».
Peccato che, facendo un salto indietro nel tempo di due o tre anni, si scopre che il primo a inventarsi l'utilizzo del tfr per gli scopi più vari è stato l'ultimo governo di Romano Prodi. Operazione che venne perfezionata con assoluta convinzione dall'allora esecutivo dell'Unione. Tanto che in embrione il piano era già presente nel programma elettorale monstre presentato nel 2006 dalla coalizione di centrosinistra. Andiamo a vedere, a tal proposito, cosa c'era scritto a pagina 172 di quel maxi-documento: «I flussi derivanti dal conferimento dei montanti agli enti previdenziali sono accumulabili in un fondo di riserva che avrebbe effetti maggiori e più immediati se il tfr non indirizzato a i fondi di previdenza venisse fatto affluire allo stesso fondo di riserva». A contribuire alla scrittura di questo passaggio, riferito a un'ipotesi di difesa dal rischio di mercato e dall'inflazione, fu l'economista ed esperto di pensioni Giovanni Geroldi, stretto collaboratore dell'ex ministro del lavoro Cesare Damiano (Pd), che nel precedente governo rivestiva la carica di presidente del nucleo di valutazione della spesa previdenziale e oggi è componente dello stesso organo. A prestare la sua collaborazione, nella messa a punto del piano, fu anche Felice Roberto Pizzuti, economista che all'epoca faceva parte dell'entourage economico di Paolo Ferrero, Rifondazione comunista, ministro della solidarietà sociale in quello stesso esecutivo.
Il tutto si concretizzò nella Finanziaria del 2007, all'interno della quale si decise che il cosiddetto tfr inoptato, ovvero non indirizzato ai fondi di previdenza complementare nelle aziende con più di 50 dipendenti, dovesse andare a finire in un fondo gestito dall'Inps. Un fondo che, a fine 2008, è arrivato a contare la bellezza di 6 miliardi di euro. E a cosa dovevano servire queste risorse già allora prese in prestito dai lavoratori? Prodi decise che dovevano essere utilizzate per il finanziamento di opere a scopo sociale, di opere infrastrutturali, di interventi di finanza d'impresa e del piano Industria 2015. Alberto Brambilla, ora (come a inizio 2006) presidente del nucleo di valutazione della spesa previdenziale, ricorda a ItaliaOggi: «Nel 2006 consegnai a Prodi un documento sul tfr che prevedeva la costituzione di un fondo di garanzia». In pratica, continua Brambilla, «c'era un accordo con l'Abi, con Artigiancassa e con la cassa dei commercianti affinché alle imprese con meno di 50 dipendenti, che venivano a perdere il tfr destinato ai fondi, venisse garantito l'accesso al credito a determinate condizioni. Ecco, il fondo di garanzia che avevamo previsto serviva a garantire il sistema bancario nell'assistenza a queste imprese». È successo che «questo fondo di garanzia è sparito e il governo Prodi si è inventato il trasferimento del tfr inoptato all'Inps, per gli scopi che sappiamo». Il ministro del welfare, Maurizio Sacconi, ieri non si è certo fatto sfuggire l'occasione di citare l'illustre precedente. «La polemica sul tfr», ha detto, «è del tutto infondata e comunque dovrebbe essere rivolta al precedente esecutivo». Sul tema è intervenuto anche il presidente dell'ordine dei commercialisti, Claudio Siciliotti, secondo il quale l'utilizzo del tfr, ora come allora, «rappresenta per certi versi un incremento del debito potenziale dello stato. In quanto tale esso pare, sotto alcuni punti di vista, qualcosa di più simile a una non copertura che a una copertura».