Pubblicato il 18/01/08 alle 18:21:22 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Per una memoria giusta di Daniela Santus “La morte di un uomo è una tragedia, la morte di milioni è statistica” amava ripetere Iosip Stalin, quando già era al potere e guidava 180 milioni di uomini lungo il cammino del socialismo reale. Stalin prediligeva questa sua espressione particolarmente rivelatrice di quello che, probabilmente, era nel suo pensiero quando volle che sulla Pravda del 13 genniaio 1953 apparisse a tutta pagina il titolo “Arrestato un gruppo di medici sabotatori”. La sua personale guerra contro gli ebrei sarebbe giunta alla soluzione finale, quella che nemmeno Hitler era riuscito a compiere del tutto.
Certo, la vita degli ebrei fu quasi sempre e quasi ovunque una vita non facile. Ma in alcuni luoghi fu persino più penosa che in altri. E lo fu per un periodo di tempo molto più lungo.
Nell’impero zarista, dove i russi di fede ebraica erano numerosi, la loro convivenza con i russi di fede diversa fu particolarmente difficile e, a causa di un costante e radicato antisemitismo, divenne sovente drammatica. Basti ricordare che le squadre antiebraiche denominate “centurie nere” avevano scelto come motto la frase “batti l’ebreo, salva la Russia” e che già nel secolo XVII i famigerati pogrom (massacri sistematici di ebrei, talvolta di intere comunità) erano ricorrenti. E continuarono nel tempo: negli anni 1919/1929 i pogrom furono oltre 2000; le vittime decine di migliaia.
In Russia infatti l’ebreo non è mai stato amato ed anzi l’occasione per perseguitarlo è sempre stata accolta con entusiasmo. D’altronde è proprio nel grande Paese degli zar che furono concepiti, redatti e diffusi i terribili "Protocolli dei Savi anziani di Sion", non ancora dimenticati e tuttora capaci di esercitare il loro malefico effetto nel mondo. Nicola II ne aveva una copia personale sulla quale si leggeva, scritto di suo pugno, questo commento: “Che profondità di pensiero! Che lungimiranza! Ovunque si vede la mano direttrice e distruttrice del giudaismo!”.
Da parte sua, il popolo ebraico - che ha sempre aspirato con pieno diritto alla propria libertà di esistere e di partecipare alla vita comune - non mancava della forza e del coraggio di battersi per difendere se stesso e anche la massa dei più deboli. Forse è questa una delle ragioni per le quali, allorché il messaggio marxista iniziò a conquistare gli animi, gli ebrei furono molto sensibili e, in larga misura, disponibili.
Anche Alessandro III, successore di Nicola II, fu grande persecutore di ebrei e lasciò mano libera al suo Ministro dell’Interno Wenzel von Pleheve il quale fomentò la ripresa dei pogrom che si scatenarono più violenti che mai: bambini sfracellati contro i muri, donne orrendamente mutilate, lingue strappate, uomini dilaniati, castrati, accecati, impiccati. Ma l’epoca degli zar stava volgendo al termine. Nel 1905 a San Pietroburgo si ebbe lo sciopero generale degli stampatori; a Odessa e a Kharkov si alzarono le barricate. Nacque il primo Soviet cui altri seguirono a Mosca, in città varie e nelle campagne. Il popolo reclamava libertà e diritti e tra il popolo c’erano anche cinque milioni di ebrei russi, che pretendevano la totale uguaglianza davanti alla legge.
I rivoluzionari – ebrei e non - finirono in carcere o in Siberia, dove fu relegato anche l’ebreo Trotzky. Ma centinaia di pogrom fecero soprattutto sterminio di ebrei che subirono stupri, torture d’ogni genere e distruzione di beni.
Il governo dei Soviet ebbe il riconoscimento nel 1921 (terminata la prima guerra mondiale) da parte della Germania. Molti ebrei ebbero parti di primissimo piano nei moti che precedettero il 1917, la Rivoluzione d’Ottobre e la costituzione delll’URSS, il cui primo presidente fu addirittura Jakov Sverdlov, un ebreo lituano. Eppure l’avversità antiebraica non accennava a morire. Lo stesso Marx considerava la “borghesia” niente altro che l’incarnazione moderna dello spirito ebraico! E per Stalin gli ebrei erano “una putrida cricca” da cui provenivano “solo dei vigliacchi” e di fatti ebbe modo di suggerire a Crusciov: “Ai buoni operai di questa fabbrica bisognerebbe consegnar dei bastoni, così potrebbero dare una buona lezione agli ebrei”.
Eppure ebrei furono i primi collaboratori di Lenin, ebrei furono numerosi accademici, scienziati e politici collocati ai più alti livelli. E moltissimi furono i giovani ebrei che nell’Armata Rossa combatterono e morirono per difendere la patria russa. Ma tutto questo non valse a ridurre di un sol punto l’astioso antisemitismo di Stalin (che pure aveva un segretario ebreo, Lev Mechlis), mai sopito ed anzi già bellicoso quando, negli anni fra il 1934 e il 1939, ordinò l’eliminazione di quasi tutte le istituzioni culturali ebraiche e di ben 750 scuole con insegnamento yiddish.
Le disposizioni di Stalin costarono, durante la guerra, la vita di almeno un milione di ebrei sovietici, che si aggiungono ai 500/600.000 morti in prigione o uccisi in seguito alle purghe. Alla fine degli anni Quaranta erano già cominciati i preparativi per la deportazione in campi di concentramento di quasi tutti gli ebrei sovietici. E in questo computo non rientrano coloro i quali avevano atteso la salvezza dell’Armata Rossa, la quale invece si fermò davanti a Varsavia mentre le SS in ritirata non cessavano di trucidare gli ebrei.
Il piano di Stalin prevedeva che la maggior parte degli ebrei sopravvissuti venisse mandata in lager siberiani e che di là non tornasse, che le élites di intellettuali già relegate nei campi di concentramento venissero eliminate e che altrettanto si facesse con i gruppi di ebrei dispersi in territorio sovietico. Così la questione ebraica avrebbe avuto definitiva risoluzione.
Personalità eminenti del mondo ebraico furono fatte sparire. Nei dipartimenti universitari, negli ospedali, nei centri di ricerca gli ebrei furono licenziati cosicché se ne andò la metà dei migliori cervelli. Nessun settore fu risparmiato. Dall’Armata Rossa furono estromessi, negli anni tra il 1948 e il 1953, 63 generali e 260 colonnelli, per non fare che un esempio.
Stalin, il quale affermava con convinzione che la storia del suo partito era la storia della lotta contro gli ebrei, sostenne che da sempre il popolo ebraico russo era in contatto con la borghesia occidentale, che gli ebrei erano spie degli americani, che il loro nazionalismo era una minaccia per il sistema sovietico. E con questo intese realizzare in due successive fasi il risultato che da lungo meditava: innanzi tutto scatenare l’odio della popolazione affinché riprendessero i pogrom in misura gigantesca; poi, accogliendo una richiesta che lui stesso aveva fatto predisporre, offrire “salvezza” alla comunità deportandola in una landa estrema della Siberia dove la natura avrebbe svolto egregiamente la funzione di camera a gas.
Lo capì e lo disse molto bene Solgenitzin nel suo "Arcipelago Gulag" con queste parole: “Il progetto era questo: all’inizio di marzo i ‘medici assassini’ dovevano essere impiccati sulla Piazza Rossa. Naturalmente i patrioti infiammati avrebbero allora (sotto la guida di istruttori)scatenato un pogrom contro gli ebrei. A questo punto il governo (si riconosce il carattere staliniano, non è vero?) sarebbe generosamente intrvenuto per salvare gli ebrei dall’ira popolare e li avrebbe trasferiti la stessa notte da Mosca in Estremo Oriente ed in Siberia (dove già si apprestavano le baracche)”.
A partire dal 13 gennaio 1953 e per più di un mese tutti i giornali sovietici pubblicarono articoli su medici ebrei criminali che tessevano complotti, sempre in odio al popolo e al suo governo. Venne aperta la caccia ai medici avvelenatori e agli “agenti sionisti”. Nelle farmacie gli acquirenti sospettavano i farmacisti di tentare di rifilar loro medicinali avvelenati; sui tram, nei mercati, nei ministeri si raccontava che a Mosca alcune farmacie erano state chiuse perché i farmacisti ebrei – agenti dell’America – vendevano pillole fatte con polvere di pidocchi; si raccontava che nei reparti maternità infettavano di sifilide neonati e puerpere, e che nei laboratori dentistici gli ebrei inoculavano il cancro ai malati.
L’antisemitismo lievitava unito ad un’ottusa astiosità. L’operazione colpì a tutti i livelli e innumerevoli furono gli ebrei che sparirono nelle prigioni, nei lager e nelle fosse. Da parte del potere comunista venne svolto un intenso lavoro per organizzare la deportazione nei lager di tutti gli ebrei sovietici. Abraham Sifrin, classe 1923, sovietico di religione ebraica, già combattente nell’Armata Rossa e poi consulente legale presso il Ministero della Difesa, finì alla Lubjanka nel giugno del 1953. Accusa: essere spia di Israele e degli USA. Si dichiarò sempre innocente, ma venne condannato alla fucilazione, che attese per 10 giorni nel braccio della morte. La pena gli fu poi commutata in 25 anni di lavori forzati, più 5 di esilio e altri 5 di privazione dei diritti civili. E non è che un esempio.
Stalin era già morto: il 5 marzo del 1953. Milioni di russi lo piansero e tra questi, nel mondo, anche moltissimi ebrei all’oscuro di tutto.
Al di là di quella che Churchil definì “cortina di ferro” e dentro lo sconfinato impero comunista sovietico, come ha scritto con grande sensibilità Riccardo Maetzke (2004), "c’era un mondo di morti voluti dai vivi, coperti di terra e silenzio". Milioni di ebrei (uomini, donne, vecchi, bambini) dai più umili ai più insigni: un popolo sterminato nel corso di un genocidio voluto e attuato con logica e determinazione. Per loro non c’è giorno della “memoria". Nessuno ne parla, ma sulla dignità dei vivi – di quelli che con arroganza non hanno nemmeno mai chiesto perdono – peserà un’ombra oscura. E sino a che non si avrà il coraggio di ricordare anche questo “olocausto negato” la memoria non sarà mai "giusta".
Come non saranno mai giuste le celebrazioni di oggi, che troppe volte finiscono per esser soltanto una scusa, un appiglio legale per mettere gli ebrei d’Israele – proprio come i medici russi di un tempo – sul banco degli imputati. E il ridicolo si mescola a vergogna quando si odono paragoni pazzeschi, quando si dice che i palestinesi (quando non addirittura gli extracomunitari nei centri di accoglienza in Italia) sono oggi trattati come lo furono gli ebrei nei campi di sterminio. Ciò significa non conoscere la storia o essere profondamente intrisi di odio antiebraico da voler sottacere la realtà. Tanto varrebbe abolirlo questo giorno di lutto, se la memoria - parziale o distorta – diventa solo un’infamia.
Daniela Santus
Per approfondire:
R. Maetzke, “Gli ebrei in URSS, ossia un olocausto mai confessato”, /Realtà Nuova/, n. 1, 2004, pp.27-45; G. Moriani, /Il secolo dell’odio/, Venezia, Marsilio, 1999; L. Rapaport, /La guerra di Stalin contro gli ebrei/, Milano, Rizzoli, 1991;