Pubblicato il 28/03/09 alle 16:55:19 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
nelle gerarchie cattoliche si sta facendo strada la consapevolezza di essere nel mirino di molti e potenti nemici Si sono spenti i riflettori sul viaggio del Papa in Africa, adesso si tirano le somme, lo ha fatto il cardinale Bagnasco lamentandosi per le critiche tanto astiose e pesanti come raramente se ne erano ascoltate, rivolte al romano Pontefice. Il sospetto di una regìa, o quanto meno di un tacito ordine d’attacco ha sfiorato più d’uno. Tanto che Avvenire ha parlato di “attacchi concentrici” in cui “la volgarità non è più un tabù, è anzi un must”.
Più esplicito è stato Pier Ferdinando Casini, che dietro quelle bordate a palle incatenate ci aveva visto “la manina della massoneria internazionale”. Anche il direttore di Avvenire Dino Boffo, in un’intervista al Foglio, accennava al complotto, a proposito del caso Englaro: “una cupola di indole massonica, che ha messo in campo una solidarietà formidabile, cementata in modo trasversale, capace di superare qualsiasi appartenenza politica, di categoria, di professione”.
Il caso Englaro, quello che per qualcuno rappresenta una “Porta Pia” bioetica. Un piccolo segnale che ultimamente nelle gerarchie cattoliche, se non una sindrome da complotto, si sta facendo strada la consapevolezza di essere nel mirino di molti e potenti nemici. Sulla questione del preservativo e dell’Aids, Benedetto XVI non ha fatto altro che essere fedele al pensiero e al magistero dei suoi predecessori, lo ha fatto con rigore morale. In Africa Benedetto XVI ha parlato di tanti e gravi problemi. Ma tutto è stato ridotto ad una battuta, usata per attaccarlo personalmente, in modo volgare, insistito. Impedendo, di fatto, al Papa di far sentire le sue parole.
Per il sociologo delle religioni Massimo Introvigne, si è voluto togliere l’attenzione da quelle cento pagine pesantissime dell’‘Istrumentum laboris’ per il Sinodo dell’Africa, un documento chiave, frutto di vent’anni di lavoro della chiesa, che dà giudizi duri su fatti e istituzioni. I giornali africani ne hanno parlato come di un testo fondamentale. Invece in occidente si parla solo del condom…”.
Ma chi avrebbe interesse ad una manovra simile? “Non certo la massoneria, o una Spectre, non sono un complottista. Sono invece realista - afferma Introvigne - il Papa è andato in Africa, un continente che la chiesa ritiene centrale, con un documento in cui finiscono sotto accusa per le loro scelte politiche e per i loro affari l’Onu, la Ue, molte istituzioni internazionali nonché molti governi e anche parecchie multinazionali. C’è molta gente che preferisce che non si parli di questo - insiste Introvigne - E il modo migliore è attaccare il Papa spostando il discorso”. E’ una battaglia inedita “Le lobby gay, omosessuali, abortiste ci sono sempre state e attaccheranno sempre: Wojtyla non fu trattato meglio di Ratzinger. E neppure Montini. La novità di oggi è che la chiesa, su molti fronti, dice cose importanti e che danno fastidio a molti. Se fosse irrilevante, nessuno se ne occuperebbe. Il Papa sotto attacco non è un segno di debolezza, è il contrario”.
L’Istrumentum Laboris, col sottotitolo: La Chiesa in Africa al servizio della Riconciliazione della Giustizia e della Accoglienza, sono 100 pagine intense che ho letto, dedicate ai problemi dell’Africa e sono tanti, dalla fame, alla mancanza d’acqua, alle guerre tribali, le forme di schiavitù e tanto altro. Ma di chi è la colpa di questa crisi endemica del continente africano? Nel 1962 l’agronomo francese René Dumont, in un libro destinato a far discutere, L’Afrique noire est mal partie(“L’Africa nera è partita male”) criticava l’indipendenza dal dominio coloniale europeo, accolta con entusiasmo, come una nuova era per l’Africa. Invece alle vecchie amministrazioni andavano sostituendosi le dittature deliranti. Nel 1986, Jacques Giri, consulente francese della cooperazione internazionale allo sviluppo, illustrava in un saggio, venti anni di fallimenti sotto le apparenze di uno sviluppo economico in realtà mancato.
Infine nel 1991una giovane studiosa camerunense, Axelle Kabou, nel suo “E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo”, spiegava i fattori culturali che impediscono agli africani di sconfiggere la povertà. Per aver detto queste cose Kabou è stata accusata di tradire le proprie origini e di essersi venduta all’imperialismo occidentale. A 40 anni dalle indipendenze, l’Africa conferma le previsioni più negative. “Quasi tutte gli Stati africani si collocano al fondo dell’indice dello Sviluppo Umano pubblicato ogni anno dallo United Nations Development Program. Oltre ai conflitti, alle carestie, alla pessima situazione sanitaria, e all’aids, a creare una situazione così disperata, ha contribuito il fallimento economico. La colpa ricade, esclusivamente sulle leadership che si sono avvicendate alla guida degli Stati africani dopo le indipendenze. Questi ne hanno approfittato per appropriarsi delle risorse nazionali e poi disporne, come fossero proprietà personali, per conservare il potere e soddisfare ambizioni di status sfrenate. Risultato: un saccheggio di ricchezze di portata quasi inimmaginabile.
Quello politico é l’altro fallimento: gli eroi delle guerre d’indipendenza avevano la fiducia dei loro popoli e la solidarietà internazionale promettendo democrazia e rispetto dei diritti umani. Conquistato il potere, si può dire che nessuno abbia veramente mantenuto fede agli impegni presi e la maggior parte dei loro successori hanno fatto altrettanto. Il risultato è che in Africa le istituzioni politiche spesso non sono altro che simulacri di democrazia, spesso dittature feroci e quasi sempre incapaci e irresponsabili. Inoltre si affiancano le istituzioni tribali che limitano la libertà personale, infliggendo violenze fisiche e morali, generando discriminazioni: matrimoni imposti e precoci, prezzo della sposa, mutilazioni genitali femminili, classi d’età. Oggi in Africa la semplice applicazione della frase di San Paolo: “ogni creatura è bene”, può costare la vita, come è successo alla missionaria laica Annalena Tonelli, uno dei tanti martiri cristiani, assassinata cinque anni fa, il 5 ottobre 2003. “E’ stata uccisa perché curava tutti”, aveva commentato il vescovo di Gibuti.