Pubblicato il 09/04/09 alle 16:32:14 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
il regime politico italiano si può definire come un governo dei giudici Il ritmo della politica è ormai tolto dal legame tra elettorato, Parlamento ed esecutivo, che in regime democratico è invece la chiave di evoluzione dei rapporti tra gli organi costituzionali Il principale problema della politica italiana dagli anni Ottanta in poi è stato l’impossibilità di modificare la Costituzione del ’47.
Il documento costituzionale presentava due problemi. Uno era l’estensione della parte dottrinale del testo, concepita come una rivoluzione ideale dalla cultura cattolica di sinistra che dominava l’attività costituente della Democrazia cristiana e dai comunisti, che però in questa materia seguirono piuttosto la linea dossettiana che una propria ispirazione. Questa concezione ha dato al documento costituzionale un carattere ideologico che ha contribuito a creare il mito della sua sacralità, un processo che non è avvenuto in nessun altro paese europeo, neanche nella Germania federale, dove pure la Costituzione è stata scritta dopo un’esperienza totalitaria.
Il secondo grave difetto della Costituzione italiana deriva dal fatto che i costituenti erano orientati più verso un regime assembleare che non verso un regime parlamentare. E infatti non regolarono in alcun modo i rapporti tra governo e Parlamento in modo da garantire la stabilità degli esecutivi. Vi era già l’idea, che ebbe poi corso nella storia della Repubblica, che fossero i partiti a garantire la composizione e la stabilità dei governi. E infatti è questo che è sempre avvenuto, sino a quando, nel 1993, i partiti storici occidentali sono stati rimossi, l’immunità parlamentare abolita e il Parlamento sottomesso al potere dei procuratori della Repubblica. Da quel momento hanno iniziato a crescere le istituzioni: a partire dal presidente della Repubblica, che è divenuto, oltre le intenzioni dei costituenti e oltre il testo della Costituzione, il decisore ultimo della politica del governo. Hanno assunto un peso sempre più rilevante anche le cariche dei presidenti delle assemblee parlamentari, in maniera corrispondente alla logica del regime assembleare che era il fondo del pensiero dei costituenti. In nessun altro parlamento europeo esiste il concetto di “terzietà” del capo dello Stato rispetto all’esecutivo, concetto che viene invece enunciato come una forma propria della Repubblica italiana.
Anche la Corte costituzionale in Italia ha assunto un rilievo diverso da quello che hanno le corrispondenti corti europee, ed è divenuta in pratica l’ultima istanza della legittimità della politica, mettendo in pratica quella dimensione di sacralità che il carattere ideologico della Costituzione conferisce all’organo che ne rappresenta la logica. Sicché nel nostro paese il ritmo della vita politica è tolto dal rapporto tra corpo elettorale, Parlamento e governo, che in un regime democratico dovrebbe invece costituire la chiave di evoluzione dei rapporti tra gli organi costituzionali.
Se poi a tutto questo si aggiunge il fatto che la magistratura è divenuta nel suo organo di autogoverno un potere politico di indirizzo generale, si comprende il motivo per cui si può dubitare che la Repubblica italiana sia una democrazia nel senso ovvio del termine, ed è lecito considerare la Repubblica italiana come il governo delle istituzioni non elette dal popolo. Non un governo popolare, insomma, ma un governo delle istituzioni. E, visto il ruolo di fatto assunto dalla Corte costituzionale, il regime politico italiano si può definire come un governo dei giudici.