Pubblicato il 18/07/09 alle 23:13:45 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
LA STREGA DEL VILLAGGIO PICCHIATA E LINCIATA NUOVA DELHI - Legata a un palo, picchiata, presa a pugni. È la durissima punizione inflitta in India a una donna accusata di praticare la magia nera. Le immagini del linciaggio, girate a Dumaria Adalchak, alla periferia di Patna (capitale dello stato orientale del Bihar), sono state trasmesse in tv, dalla New Delhi Television, e hanno scosso l'intero Paese.
VIDEO - Il filmato (immagini particolarmente scioccanti) http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=tuttiivideo&vxClipId=2524_d307f1cc-fcae-11dc-baaf-00144f486ba6&vxBitrate=300 mostra infatti la "strega" presa a pugni in faccia e a calci da un uomo, poi una seconda persona le taglia i capelli. Decine di abitanti del villaggio assistono alla punizione culminata con un corteo-gogna nel villaggio. A scatenare la rabbia, riferisce la polizia locale, il tentato suicidio di una donna psicolabile che la "strega" avrebbe dovuto curare: il primo aggressore (arrestato) è il marito della malata mentale.
Formigine (MO): tunisina picchiata perché non mette il velo In provincia di Modena, a Formigine, una trentenne di origine tunisina è stata picchiata alcuni giorni fa da un’altra nordafricana perché non indossava il velo, finendo all’ospedale di Baggiovara e poi sporgendo denuncia. La donna che ha subito l’aggressione racconta che stava tornando a casa dopo aver accompagnato a scuola il figlio quando ha incontrato l’altra signora, che ha iniziato ad offenderla e a dirle che non era una “buona musulmana”, prima di aggredirla. Le forze dell’ordine hanno svolto le prime indagini confermando la versione della donna e inviando un’informativa alla procura modenese. La donna afferma di vivere da molti anni con la propria famiglia in Italia: “Ci sto bene e non capisco perché dovrei indossare il velo ogni volta che esco di casa, non è un obbligo assoluto per noi islamici, ma forse c’è chi interpreta la nostra religione in modo troppo rigido”.
Macerata: afghana picchiata dal marito perchè non portava il velo in casa Una donna afghana di 38 anni, residente a Macerata, è stata brutalmente picchiata dal marito più volte, perché non portava il velo in casa. E’ ricoverata in ospedale dopo essere stata pestata dall’uomo con calci e pugni davanti ai figli accorsi dopo aver sentito le urla della madre. Per scappare dal marito, la donna era anche andata via di casa per rifugiarsi da un parente.
Bimbo denutrito, ultraortodossi causano disordini a Gerusalemme L’emergere di un caso di maltrattamenti da parte di una madre ultraortodossa verso il figlioletto di tre anni ha scatenato scontri e disordini in alcuni quartieri di Gerusalemme. Le autorità e i medici che hanno seguito il caso fanno sapere che una donna della setta Toldot Aharon affamava il figlio e per questo è stata arrestata. La donna portava infatti spesso il figlio all’ospedale: ciò ha generato sospetti e quando ci si è accorti tra le altre cose che la donna staccava la sonda che alimentava il figlio, è stata arrestata e il bambino sottoposto a cure mediche. Secondo il quotidiano Yediot Ahronot, che ha pubblicato una sconvolgente foto, questi pesava solo sette chili.
La notizia dell’arresto della donna ha scatenato la reazione degli ultraortodossi, che hanno attaccato agenti e dipendenti comunali, assaltato il ministero dell’ Istruzione e alcuni uffici della previdenza sociale. Il bambino è sorvegliato presso un ospedale, nel timore che possa essere rapito. Il sindaco di Gerusalemme ha disposto la sospensione dei servizi municipali per garantire l’incolumità dei dipendenti: gli ortodossi si oppongono a questa decisione e potrebbero appellarsi alla Corte Suprema.
Gerusalemme, donna picchiata, non voleva spostarsi in fondo al bus Lo scorso mese una donna, Miriam Shear, israelo-americana, mentre viaggiava a bordo di un bus che transitava per la zone ultraortodossa di Gerusalemme è stata invitata da una pattuglia di ultraortodossi ad accomodarsi in fondo all’automezzo. Al suo rifiuto è scattato l’attacco, con insulti, sputi e percosse. Il caso è stato inserito in una petizione inviata alla Corte Suprema israeliana a proposito della legalità degli autobus segregazionisti.
“ogni due o tre giorni c’era qualcuno che mi diceva di sedere dietro, a volte gentilmente, a volte no” ricorda Shear questa settimana in un’intervista televisa. “Io sempre gentilmente rispondevo ‘No, questa non e’ una sinagoga. Non mi siedo dietro’”
Ma Shear, 50 anni, credente, dice che la mattina del 24 un uomo e’ salito sul bus e ha chiesto il suo posto, anche se, sempre davanti, ce n’erano altri disponibili. “Ho detto, no non mi muovo e lui ha detto ‘Non te lo sto chiedendo, te lo sto ordinando’. Poi mi ha sputato in faccia, a quel punto mi e’ salita la rabbia e l’ho chiamato Figlio di puttana, una cosa di cui non vado fiera. Poi ho ricambiato lo sputo. A quel punto mi ha buttata in terra, la gente urlava che ero pazza. Quattro uomini mi mi hanno circondata e hanno cominciato a darmi schiaffi in faccia e pugni al petto, tirandomi i vestiti picchiandomi e anche dandomi calci. Il mio snood (cuffietta per i capelli) e’ volato via. Io cercavo di fare resistenza, ho dato un calcio nelle parti intime di uno di loro. Non mi dimentichero’ mai l’espressione sul suo viso.
Shear dice che quando si e’ piegata nel corridoio per cercare il suo copricapelli “uno degli uomini mi ha dato un calcio in faccia. Grazie a dio mi ha mancato l’occhio. Mi sono alzata e gli ho dato un pugno. Ho detto ‘Voglio indietro il mio copricapelli ‘ ma lui non me la voleva ridare, allora gli ho preso il suo cappello nero e l’ho buttato in mezzo al corridoio”
Per tutto il tempo, Shear dice che l’autista “non ha fatto niente”. Le altre persone, dice, la incolpavano di non spostarsi nel retro del bus e la chiamavano “stupida Americana senza buon senso. La gente mi ha dato addosso perche’ non stavo al mio posto e non andavo nel retro del bus, il posto che secondo loro mi apparteneva.”
Secondo Yehoshua Meyer, testimone oculare dell’incidente, il racconto di Shear corrisponde perfettamente all’accaduto. “Ho visto ogni cosa” dice, “qualcuno e’ salito e ha chiesto il suo posto dicendole di sedersi nel retro, ma lei si e’ rifiutata. E’ stata brutalmente picchiata su tutto il corpo con calci e pugni. Lei ha provato a reagire ma nessuno l’ha aiutata. Io ho provato ad aiutarla ma qualcuno mi ha impedito di alzarmi. Il mio cellulare era scarico e non potevo neppure chiamare la polizia. Ho urlato all’autista di fermarsi. Si e’ fermato ma non ha fatto niente. Quando alla fine siamo giunti al muro occidentale era ormai stata brutalizzata e l’ho aiutata ad andare alla polizia.
Shear dice che quando aveva iniziato a prendere la linea num.2, non sapeva neppure che fosse in qualche modo oggetto di apartheid sessuale. Dice anche che sedersi davanti e’ semplicemente piu’ comodo. “Sono una donna di 50 anni a non mi va di sedermi dietro. Sono vestita dignitosamente e inoltre ero su un bus pubblico,”
Shear Dice: “E’ una cosa pericolosissima che un gruppo di persone prenda possesso di una proprieta’ pubblica ed imponga il proprio volere senza che vada incontro a un giusto processo”. “Anche quando (gli Haredim) sono una maggioranza - e io non credo che lo siano - hanno altre opzioni a cui far ricorso. Possono presentare una petizione a Egged (l’azienda dei trasporti) oppure noleggiare il loro proprio bus, non mi frega niente se ci sono anche 500 persone che mi dicopno dove sedermi. Io mi siedo dove voglio io e cosi’ puo’ fare chiunque altro.
Mayer dice che per tutto il tempo gli altri passegeri hanno dato addosso a Shear per non volersi sedere dietro. “Probabilmente affermano che lei li ha attaccati per prima, ma e’ assolutamente falso. Hanno abusato di lei in modo terribile, non ho mai visto nulla del genere”