Pubblicato il 02/08/09 alle 12:47:34 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Mutilazioni genitali femminili. Una tragedia africana raccontata da una sopravvissuta Dal 1991, anno della caduta del dittatore Siad Barre, in Somalia i clan combattono per il potere e non passa giorno senza che le agenzie di stampa riportino notizie sull'andamento della guerra, aggiornando il bollettino dei morti, dei feriti, dei nuovi sfollati e delle loro sofferenze. Si sa delle centinaia di migliaia di persone in fuga, accampate senza neanche un riparo sulla testa sul ciglio della strada che da Mogadiscio porta al sud, e di quelle accolte nei desolati campi per profughi in disperata attesa di tornare a casa o di raggiungere le capitali africane ed europee dove già altri familiari hanno trovato scampo. Si conosce il calvario di chi ha perso ogni avere e dipende dall'assistenza internazionale per sfamarsi e per non morire di colera, dissenteria, malaria, tubercolosi.
Ma c'è una tragedia ulteriore di cui non parla mai nessuno. Per le donne, al patire che condividono con il resto della popolazione si aggiungono le dolorose conseguenze delle mutilazioni genitali subite nell'infanzia. Praticamente tutte le bambine somale sono infatti escisse e circa l'80% sono anche infibulate, il che pone la Somalia al vertice della classifica delle nazioni in cui le mutilazioni genitali femminili sono più praticate.
Oltre che in Somalia, l'istituzione, che affonda le radici in epoche preistoriche, è diffusa in altre decine di stati africani, in alcuni paesi del Golfo Persico e in Indonesia. In totale l'Oms calcola che oggi nel mondo vivano almeno 140 milioni di donne mutilate e si stima che ogni giorno circa 6.000 bambine subiscano un intervento di escissione o di infibulazione.
Forse la più nota vittima di questa tradizione è Waris Dirie, una donna somala che è stata una delle modelle più famose e meglio pagate del mondo. Waris è nata nel deserto da una famiglia di pastori e, malgrado che una sua sorella maggiore fosse morta dissanguata in seguito a un intervento mal riuscito, raggiunta l'età giusta è stata a sua volta mutilata. Da allora non ha trascorso un giorno senza avere male. All'intervento non era stata in grado di ribellarsi, ma quando il padre, in cambio di un compenso che la tradizione prevede e chiama «prezzo della sposa», ha deciso di darla in moglie a 13 anni a uno sconosciuto molto anziano, è scappata, di notte, nel deserto, riuscendo a raggiungere Mogadiscio e poi, con l'aiuto di un parente misericordioso, a espatriare dirigendosi a Londra dove l'attendevano uno zio, addetto all'ambasciata somala in Gran Bretagna, e, inaspettatamente, la folgorante carriera di fotomodella culminata nel 1987 con la comparsa, insieme a Naomi Campbell, sul prestigioso Calendario Pirelli.
Da tempo però Waris ha abbandonato le passerelle per dedicarsi anima e corpo alla lotta contro le discriminazioni e le violenze istituzionalizzate subite dalle donne africane e in particolare contro le mutilazioni genitali femminili. Sia per conto delle Nazioni Unite sia in qualità di presidente della fondazione da lei creata e che porta il suo nome, partecipa instancabile a convegni, summit, conferenze, trasmissioni televisive sulle mutilazioni genitali femminili. Inoltre ha scritto due libri autobiografici (Fiore del deserto, 1998, Alba nel deserto, 2002) e un libro sulla diffusione delle mutilazioni genitali femminili in Europa (Figlie del dolore, 2006). Infine è appena stata pubblicata in Italia la sua ultima opera intitolata Lettera a mia madre. Come suggerisce il titolo, si tratta della descrizione del rapporto di Waris Dirie con la madre, irrimediabilmente compromesso dall'insanabile danno subìto e inflitto, ma soprattutto dalla implacabile determinazione della madre a difendere la tradizione di cui va tuttora fiera al punto da scagliarsi contro la figlia e accusarla di aver tradito, combattendola e denunciandone la barbarie, i valori della sua cultura e l'onore della famiglia.
Le pagine di Lettera a mia madre rivelano così una condizione di solitudine che Waris condivide con tutte le donne che come lei non riescono a superare l'angoscia di aver ricevuto dalla persona che più amavano e di cui più si fidavano al mondo un dolore tanto grande. Rivelano anche ciò che più sconcerta di questa devastante istituzione: la sua convinta difesa, a oltranza, da parte di milioni di donne che, pur avendola subita e patendone le conseguenze per tutta la vita, non esitano a infliggere lo stesso dolorosissimo destino alle loro creature.