Burka o non burka, sono arrivati a Roma.. anzi a Milano
Pubblicato il 21/09/09 alle 14:41:26 GMT pubblicato da Armando_Manocchia
Poiché l’arabo è la lingua sacra, non può essere tradotta come vorrebbero i fautori di un’integrazione scolastica e sociale attraverso l’uso degli idiomi europei E’ anche lingua ambigua, e quindi la forma orale si presta a una pluralità di significati. Per non dire dell’abrogazione, e del “velo politico”. Quanto accaduto a Daniela Santanché leader del Movimento per l’Italia, alla quale esprimiamo la nostra sincera solidarietà per l’ignobile aggressione verbale e fisica, subita ad una manifestazione che si è tenuta a Milano, al di là delle posizioni degli opposti schieramenti, deve far riflettere e preoccupare.
Che il velo, figuriamoci il burka, sia un simbolo politico e di oppressione nei confronti della donna, non a caso l’unica, che può cambiare la testa marcia di odio e violenza dell’integralismo islamico, non ci sono dubbi.
Il velo indossato qui da noi, è solo un modo per comunicare il messaggio politico-religioso alla umma presente in Eurabia. Il velo è il simbolo di oppressione politico-religioso portato dalla misoginia islamica, dal maschilismo musulmano, dal machismo degli islamisti nei confronti delle donne musulmane, attraverso la manipolazione, la violenza psicologica e fisica, i maltrattamenti e le percosse, la lapidazione e l’induzione al suicidio e per finire il femminicidio.
L’accettazione di sudditanza, di sottomissione o dhimmitudine come dice Bat Ye’or in Eurabia, nei confronti dell’islam, senza che questi abbiano firmato nessun Patto d’Intesa con lo Stato italiano, con la consapevolezza che non hanno voluto aderito a nessuna Carta dei valori condivisi in Occidente, tantomeno alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il permesso a costoro di edificare moschee e minareti, ci lascia inermi e sbigottiti. Tale proposta anche se si dice che i sermoni, le prediche saranno in lingua italiana, non ce ne frega nulla, perché tra le tante altre cose, si sottovaluta un aspetto fondamentale e cioè quello che non considera l’arabo lingua sacra del Corano, ispirato direttamente da Allah, quindi intoccabile e a maggior ragione intraducibile.
Anche se l’imam iscritto all’Albo, predicasse in italiano, le citazioni delle sûre (versetti) coraniche sarebbero comunque in arabo; e nel testo a loro sacro,come sappiamo, non mancano passi bellicosi e ambigui (sûre II, 186-7, 212-5; IX, 36, ecc.).
Si tratta di un problema che riguarda l’ambito religioso e quello culturale, con ricadute sul terreno politico, come dimostra la vicenda del viceministro egiziano alla Cultura che, per dopo essersi permesso di sostenere in un libro edito in Egitto nel 2004 (La sciabola e la virgola (La lingua del Corano è all’origine del male arabo), trad.it., Obarra, Milano 2009) la necessità di semplificare la lingua araba e adattarla al mondo moderno, ha dovuto lasciare la carica.
L’ambiguità del testo coranico si riflette su un tema oggi più che mai controverso del velo islamico, Si tratta di questione che, al di là dell’uso propagandistico e strumentale che ne viene fatto, merita alcune precisazioni. Il documento più antico che tratta questo argomento, non è islamico e neppure arabo, ma risale addirittura alle leggi assire (1112-1074 a C ) dove si legge: «Le donne sposate [ …] quando escono di casa non avranno la testa scoperta. Le figlie di uomini liberi [ …] saranno velate.
La concubina che va per la strada con la sua padrona sarà velata». Anche nell’Antico Testamento, numerosi passi indicano che le donne si velavano: Rebecca alla vista di Isacco: «Allora essa prese il velo e si coprì» ( Genesi 24,65);« Come sei bella, amica mia, come sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe dietro il tuo velo», (Cantico dei cantici 4,1); nella maledizione di Babilonia: «togliti il velo, solleva i lembi della veste, /scopriti le gambe,/attraversa i fiumi./ Si scopra la tua nudità,/si mostri la tua vergogna» (Isaia 47, 2-3). Del velo femminile, ma solo per coprire la testa e come segno di rispetto durante le funzioni religiose, non come interdetto sessuale, si parla anche nel Nuovo Testamento: «Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata» (Lettera di Paolo ai Corinzi, 11, 5).
Sul tema nel Corano sono presenti unicamente tre versetti, per di più ambigui: «E quando vorrete chiedere ad esse (le mogli del profeta) un oggetto, chiedetelo loro dietro una cortina (hijâb); questo sarà più puro per i vostri cuori e per i loro» (sûra XXXIII, 53). Lo hijâb non è quindi un velo ma piuttosto una grata o tenda che cela le donne del profeta agli occhi di uomini estranei. E riguarda esclusivamente i rapporti con una speciale categoria di donne, le “spose del profeta” [nove mogli e due concubine avute dopo la morte della prima moglie Khadija] con le quali non si può parlare direttamente, né si possono sposare una volta vedove e che il Corano chiama “le madri dei credenti”.
Nella stessa sûra non si parla di velo da mettere sul capo, ma di mantello, ampio e senza maniche (jilbâb,plurale jalâbîb): «O profeta, dì alle tue mogli, alle tue figlie e alle donne dei credenti, che facciano scendere qualcosa dei loro jalâbîb su di sé ( sul loro viso per coprirlo ); questo sarà (il modo) più acconcio, perché esse vengano riconosciute (distinte dalle schiave e dalle prostitute) e non vengano offese (da atti e parole sconvenienti) e Dio è indulgente e compassionevole » (sûra XXXIII, 59 ).
Secondo molti commentatori classici questo versetto e altri vanno contestualizzati nell’ambiente dell’epoca: si trattava di una misura per proteggere il pudore femminile. Manca quindi nel Corano un riferimento esplicito al velo per le donne.
In realtà il velo imposto, scelto o addirittura rivendicato come succede nei Paesi europei, ha spesso motivazioni che non sono affatto religiose, bensì politiche, ed è su questo terreno che va non solo aperta la discussione, ma deve essere fatta una legge che dia risposte certe alla difesa dei nostri valori e non alla difesa di disvalori come quello di predicare odio e violenza in tutte le forme possibili, non ultima quella del velo.