Sanaa, l´amica accusa 'A casa era un inferno per questo scappò'
Pubblicato il 25/09/09 alle 11:31:17 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
PORDENONE - "Terrore... Cose indicibili... Sanaa è scappata perché aveva paura folle del padre... Viveva nel panico...". C´è qualcuno che sa, può far luce sulle zone d´ombra nella storia del marocchino che ha sgozzato la figlia dalle parti di Pordenone. Una famiglia italiana, l´unica che conosce intimamente sia l´assassino sia la vittima. Uno snodo cruciale. Una coppia di Treviso, Franco e Donatella Franceschetto, che frequentavano El Ketawi da vent´anni, e da dodici avevano adottato la piccola Sanaa come seconda figlia.
Il racconto della Franceschetto è pesante, scandito da silenzi. «All´inizio mi sembrava impossibile, poi ho capito: in casa di El Ketawi succedevano «certe cose». Non posso dire cosa. La ragazza me lo diceva ma non ci credevo. Mi sbagliavo. Ora so tutto, ma non dirò nulla, da me verrà solo il silenzio».
Cosa accadeva nella casa-inferno? Quanti volti aveva El Ketawi? Donatella, ex infermiera dai principi di ferro, parla lentamente e con pena; è stata lei l´intermediaria fra padre e figlia, e lei fino all´ultimo ha tentato di ricucire fra i due, ma senza mai svelare il rifugio della ragazza.
Racconta dettagli nuovi. Solo mezz´ora prima del delitto l´uomo manda a Sanaa un messaggio via cellulare. «Complimenti per il tuo Massimo». Vuol dire: so con chi stai e dove sei. La ragazza non sa che lui è già a Montereale, nei dintorni della sua casa adottiva, e ha appena comprato un coltello, ma l´avvertimento basta e avanza.
Sanaa terrorizzata chiama Donatella, e riceve il consiglio di barricarsi in casa. Poco dopo una telefonata del padre: «Ritorna, ti perdono. Diremo alla gente che eri in Marocco». Ma ecco un altro sms: «Se vi trovo insieme vi uccido». È chiaro. C´è un pazzo all´altro capo del filo.
«Ci ho provato per una settimana», ha detto El Ketawi ai carabinieri, ma ora la sua lapidaria dichiarazione appare inverosimile. Erano semmai due mesi che l´uomo cercava la figlia, mentre la decisione di ammazzare l´ha presa solo all´ultimo istante, dopo aver saputo dove Sanaa era nascosta. E allora che vuol dire quella mezza frase? Che cosa, una settimana fa, ha dato alla storia la spinta decisiva verso l´orrore?
Torniamo agli ultimi istanti. Sono le sei e un quarto, sul telefonino di Donatella arrivano altre tre chiamate di Sanaa, ma Donatella non sente. Sono gli ultimi segnali di vita. La ragazza ha paura, ma chissà perché non ascolta il consiglio, esce lo stesso col suo uomo per andare al lavoro. Il resto è nei verbali di polizia. L´agguato, lo sgozzamento, la fuga dell´uomo che torna a casa e dice: «L´ho ferita, qualcuno la soccorrerà». E poi butta a lavare i vestiti sporchi di sangue, la purificazione dopo il sacrificio.
Ma lui chi era davvero? Donatella lo conosce nel 1990 a Noventa di Piave. El Ketawi vende tappeti, non ha un soldo. Lei col marito gli apre la porta di casa, lo nutre, gli presta soldi, gli dà un letto per qualche giorno. Pochi anni dopo lui porta in Italia la moglie e la figlia primogenita, e da allora la frequentazione si fa assidua.
Sanaa passa sempre più tempo dagli amici italiani del papà. La figlia della coppia, Valentina, oggi ventiquattrenne, racconta della bambina che impara a truccarsi e ballare con i maschi, e ricorda «l´espressione cupa di lei al momento di far ritorno dai genitori». «Riportavo Sanaa a casa sua sempre dopo le 17 - racconta Donatella - perché a quell´ora il padre andava a lavorare al ristorante e lei era spaventata all´idea di incontrarlo». Era un violento, che non si mostrava mai tale al di fuori della cerchia famigliare.
Cosa accadeva tra quelle mura? «Non posso dirlo, Sanaa non scherzava». Dopo la fuga, il padre ha cercato agganci con la figlia? «Sì, due settimane fa è venuto con le bambine e mi ha chiesto di parlarle. Io ho chiamato subito la ragazza e le ho detto di mettersi in contatto con la mamma».
Massimo, il convivente ferito, conferma lo schema. Lei viveva nel terrore, il padre era un violento. Si smarca dall´inizio: «Era Sanaa che mi impediva di cercare i suoi genitori». E racconta: «Non dimenticherò mai gli occhi di suo padre mentre la uccideva: era una belva». Ma il racconto è pieno di incongruenze: se un intermediario esisteva, perché non lo si è usato per tranquillizzare la famiglia? Perché Sanaa è uscita nonostante il terrore del padre? Si è fatto abbastanza per metterla al sicuro? Domande che restano ancora senza risposta.