Dal fallito attentato dell'addaura alla strage di Capaci
Pubblicato il 18/07/10 alle 10:36:17 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Come sono andate realmente le cose L’on.le Claudio Martelli è stato sentito a lungo dai magistrati di Palermo e di Caltanisetta e per quello che si può intuire offre questa ricostruzione dei fatti: Lui non volle mai sapere di gestire alcuna trattativa con Cosa Nostra. Anzi se avesse saputo di qualche trattativa avrebbe fatto l’inferno. Sono parole sue.
Nella realtà però sicuramente seppe qualcosa se è vero come è vero che è lui stesso a indicare il generale Mario Mori come la persona che comunicava a Cosa Nostra gli obiettivi da assassinare e quelli da salvaguardare.
Lo Stato quindi trattò con Cosa Nostra allo scopo di salvare la vita di un lungo elenco di uomini politici: i ministri o ex ministri Calogero Mannino, Salvo Andò, lui medesimo Claudio Martelli, Giulio Andreotti e Carlo Vizzini, il deputato regionale Sebastiano Purpura e il presidente della regione Rino Nicolosi. Sette nomi eccellenti, considerati a torto o ragione dai clan dei traditori, ai quali si deve aggiungere la lista, compilata come la prima in più fasi, dei nemici a tutto tondo: il magistrato Piero Grasso e i poliziotti Arnaldo La Barbera, Gianni De Gennaro e Rino Germanà. E lo Stato trattò - secondo qeullo che dice Martelli - per assassinare i Magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e l’uomo politico Salvo Lima. Mori o chi per lui - secondo Martelli – volle che queste persone fossero assassinate.
Martelli ammette anche di essersi mosso per evitare che in Cassazione i processi per mafia finissero sempre alla prima sezione presieduta da Corrado Carnevale, il giudice allora soprannominato ammazzasentenze, ma dice di aveer fatto questo soltanto per telefono, comunicando con il presidente della Cassazione Antonio Brancaccio, ed è assolutamente inverosimile che un’operazione di questo genere possa essere fatta per telefono. Tra l'altro c'è chi materialmente l'ha visto frequentare la Cassazione. oknotizie.virgilio.it
Totò Riina, all’epoca capo incontrastato di Cosa Nostra, quando sa che le garanzie ricevute sul buon esisto del maxi-processo, istruito negli anni ‘80 da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino, non valgono niente e che anche in terzo grado il verdetto sarà sfavorevole e che anzi saranno accolti i ricorsi del Procuratore Generale come fa sapere già prima dell’udienza il nuovo presidente designato Arnaldo Valente, monta su tutte le furie http://www.cuntrastamu.org/mafia/speciali/carnevale/intercettazione.htm.
Nell’ ultimo trimestre del 1991, raccontano le sentenze, si svolgono una serie di vertici tra capi-mafia in cui Riina annuncia la decisione di "volersi pulire i piedi". Cioè di volere ammazzare, non solo i nemici, ma anche coloro che nei partiti avevano fatto promesse sul maxiprocesso e non le avevano mantenute.
"Si fa la guerra per fare la pace", spiega a tutti il boss corleonese, il quale in quel momento ha già trovato una nuova sponda politica con cui stringere un nuovo accordo che secondo i collaboratori è costituita da alcuni parlamentari della Sinistra democristiana, tra i quali il ministro della difesa e quindi il responsabile del Sismi on.le Virginio Rognoni. Poi, il 31 gennaio del ‘92, come pronosticato, la Cassazione conferma le condanne del maxi-processo. E così il 12 marzo, a campagna elettorale appena iniziata, l’eurodeputato Salvo Lima, da anni proconsole di Andreotti in Sicilia, muore sotto i colpi dei killer. Ma l’attentato contiene un messaggio diretto a Giulio Andreotti, il quale sarebbe dovuto giungere nell’isola proprio l’indomani.
Già prima il 20 febbraio 1992, si era tenuta in casa di Girolamo Guddo una riunione operativa in previsione della “pulizia dei piedi”: si era parlato della morte di Lima, di quella di Ignazio Salvo (che avverrà il 18 settembre ‘92), dell’attentato a Falcone e di molte delle altre persone da eliminare. Il programma prevedeva che a essere colpito, dopo Falcone, sarebbe stato l’ex ministro dell’Agricoltura e leader siciliano della sinistra Dc, Calogero Mannino, il qaule – forse – anche lui aveva promeso un interessamento per il maxi-processo. Ma evidentemente in questo caso l’intervento provvidenziale dei nuovi referenti politici vale a scongiurare l’evento. Nulla possono o vogliono fare invece i nuovi referenti politici a favore di Giovanni Falcone che viene assassinato con la sua scorta il 23 maggio 1992 a Capaci. Anche questo attenatto però contiene un messaggio forte indirizzato al sen. Giulio Andreotti il quale, proprio quel giorno intrendeva ufficializzare la sua candidatura a presidente della Rdepubblica.
Che l'intenzione sia qeulla di mandare messaggi ad Andreotti è dimostrato anche dal fatto che in un primo momeneto si erapenmsato di assassinare prima Falcone (a marzo) e poi Lima. Poi il programma è cambiato perchè è subentrata l'idea di fare gli omicidi attraverso le stragi.
Tanto più che sull'onda dell'emozione suscitata dall'attentato di Capaci fu possibile accellerare l'elezione a presidente della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Camera.
È a quel punto che Mori e il suo braccio destro, Giuseppe De Donno, decidono di battere la strada che porta a Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo, legato a doppio filo all’alter ego di Riina: Bernardo Provenzano.
Il 22 o il 23 giugno 1992, sostiene Martelli, De Donno si reca da un’importante funzionaria del suo ministero, Liliana Ferraro. L’ufficiale le spiega di essere in contatto con Vito Ciancimino, il quale vorrebbe collaborare e potrebbe "fermare le stragi", (che però a quel tempo è "la strage" e non "le stragi" in quanto è stata eseguita solo la strage di Capaci e nessuno dovrebbe sapere che è in programma aanche quella di via D’Amelio).
E, secondo l’ex ministro, De Donno chiede una sorta di suo "supporto politico" (nonostante che era lui stesso Martelli nella lista delle persone da uccidere ed era lui stesso Martelli proprio quello che aveva fatto saltare il maxi porcesso). La Ferraro, conoscendo il rigore morale di Martelli (800 milioni dal conto protezione e 500 milioni da Enimont) non gliene parla nemmeno e invita i Carabinieri a rivolgersi a Paolo Borsellino, il Procuratore aggiunto di Palermo, il quale provvederà lui stesso a gestire questa “collaborazione” che a Martelli non interessa, salvo essere, proprio lui Martelli, nel dicembre 1992 la persona che sollecita la Procura della Repubblica di Palermo ad arrestare Vito Ciancimno onde escluderlo dalla trattativa che sta conducendo con Mario Mori e inserire al suo posto l’agente del Sisde e secondo alcuni del Mossad Paolo Bellini, forse noto a suo suocero Michele Finocchi n. 2 del Sisde e gran precettore di fondi illeciti dalle Casse dei Servizi http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/09/08/vacanza-al-mare-per-martelli-con-la.html.
La Ferraro – e questo Martelli lo accerta solo 17 anni dopo le stragi e solo su sollecitazione di Sandro Ruotolo giornalista di Anno Zero - avverte di quanto sta accadendo direttamente Paolo Borsellino, amico fraterno di Falcone e in procinto di diventare procuratore nazionale antimafia nel giorno del trigesimo della morte di Falcone, che - in verità - è precedente la visita di De Donno (22 o 23 giugno 1992). Come ha potuto quindi Liliana Ferraro infromare Borsellino di qualcosa che è successo dopo?
Martelli quando sa dalla Ferraro di questa visita di De Donno, si adira e se ne lamenta con il Ministro degli Interni, perchè di qeuste cose - dice - se ne doveva occupare la DIA e non i ROS. O forse - voleva dire - se ne doveva occupare solo suo suocero Michele Finocchi e non altri.
Martelli è smentito da tutti. De Donno nega che ci sia stato quel giorno un incontro con la Ferraro. Mori e De Donno incontrano Borsellino il 25 giugno 1992 a Palermo ma non parlano di trattative. E Mancino gli ricorda che la DIA fu istituita solo a dicembre 1992 e non prima e quindi a quell'epoca (maggio 92) non esisteva http://palermo.repubblica.it/cronaca/2010/04/06/news/processo_mori_deposizione_martelli-3153992/
Intanto Giovanni Brusca, si muove con pedinamenti e sopralluoghi finalizzati a far fuori Calogero Mannino. Ma Salvatore Biondino, un colonnello di Riina comunica a luglio a Brusca che il progetto di omicidio di Mannino è sfumato. Evidentemente non ha avuto il benestare dei nuovi referenti politici, i quali avrebbero potuto evitare a qeusto punto anche l'omidicio Lima, nache la strage di Capaci, anche la strage di via D'Amelio, ma evidentemente hanno interessi convergenti con questi delitti.
I nuovi referenti politici seguono invece un’altra strategia. Nel mirino all’ultimo momento viene messo Paolo Borsellino che sarà assassinato il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, dopo il tempestoso incontro a Roma il 1° luglio 1992 con Vincenzo Parisi il capo della Polizia, un incontro programmato da tempo e di cui Martelli era informato.
Già dopo questo colloquio Borsellino capisce di essere in pericolo. Vorrebbe che le automobili fossero rimosse dai parcheggi antistanti il portone della casa della madre, presso la qaule si reca ogni domenica. Ma la certezza che sarà assassinato Borsellino la acquisisce mercoledì 15 Luglio 1992 quando il giudice Giovanni Tinebra si insedierà anticipatamente, per iniziativa di Martelli, ai vertici della Procura di Caltanisetta, subentrando a Celesti che stava per convocarlo come testimone sulla strage di Capaci. Giovedì 16 luglio 1992 chiama il parroco per l'ultima comunione. Racconta tutto questo Antonino Caponnetto http://www.youtube.com/watch?v=cmQiVEVy5ss.
Come mai - si chiede Martelli nell'intervista di Anno Zero - le auto non sono state rimosse? Forse avrebbe fatto prima a domandarlo al Prefetto Michele Finocchi, dato che ce lo ha in casa dal momento che il n. 2 del Sisde – come abbiamo detto - è suo suocero.
In occasione della nascita del governo Amato il 28 giugno 1992 Martelli subisce la sgradita sorpresa di vedersi per qualche giorno in bilico sulla poltrona di ministro di Grazia e Giustizia e ciò per le pressioni di Bettino Craxi, segretario del suo partito, il quale aveva cominciato a sentire odore di tradimento. Craxi non sa evidentemente che Finocchi e Martelli sono parenti e quindi continua a perorare la candidatura di Finocchi al vertice del Sisde. Per sua fortuna Mancino e Finochiaro lo frenano dicendogli che di Finocchi in giro non se ne parla bene http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/03/06/amato-viaggi-di-craxi-li-organizzava.html.
"Ero preoccupato", ha spiegato l’ex ministro, "era come se si fosse esagerato con la lotta alla mafia...Il messaggio pareva essere: ‘Troviamo una forma più blanda di contrasto, ci abbiamo convissuto per 50 anni’".
Lui Martelli continuò invece imperterrito e inflessibile, anche dopo la formazione del nuovo governo, a perseguitare Cosa Nostra. Dopo la strage di via D’Amelio, va a Palermo e - lo dice lui stesso - fa "una scenata" (lapsus freudiano) al Prefeto che non ha rimosso le automobili da sotto casa della madre di Borsellino. Torna a Roma e ottiene che il parlamento il 7 agosto 1992 un giorno prima della scadenza, ratifichi la sua proposta di estendere a Cosa Nostra il regime del carcere duro di cui all’art. 41 bis inizialmente previsto solo per i detenuti che mettevano in atto forme di ribellione nelle carceri e per un tempo limitato.
Però come fu severo nei confronti di Cosa Nostra non fu altrettanto rigido nei confronti della Camorra Napoletana. Infatti a febbraio 1993 revocò improvvisamente tutti i regimi di carcere duro delle carceri di Poggioreale e Secondigliano a carico di detenuti camorristi allo scopo di favorire, come era nel disegno politico della Sinistra democristiana, il sorpasso e la supremazia dei clan camorristici e ndranghetisti su quelli di Cosa Nostra palermitana.
L’intervista di Martelli ad Anno Zero fa acqua da tutte le parti.
Innanzi tutto occorre rilevare come la rettifica di alcune risposte, assoltamente incongrue, gli sono suggerite dal giornalista di Anno Zero, Sandro Ruotolo (non è che per caso ……………e lui mi ritelefona e mi dice: Si è come dici tu……………).
In secondo luogo Martelli dimentica che il regime carcerario di cui all’art. 41 bis prima della strage di Capaci non era previsto per i mafiosi. Era una norma varata esclusivamente per il caso di ribellioni all’interno delle carceri e fu invece estesa ai mafiosi proprio in conseguenza della strage di Capaci http://it.wikipedia.org/wiki/Articolo_41_bis.
L’agire di Martelli si inquadra quindi in quella logica della Sinistra democristiana nella quale egli si era completamente integrato, che mirava a distruggere totalmente i corleonesi palermitani e i coronisti pugliesi perché costoro avevano intessuto una fitta rete di rapporti elettorali ma sopratutto affaristici con il P.S.I., dal quale ormai egli si sentiva completamente sganciato.
Martelli nel corso dell’intervista ad Anno Zero fa in questo senso delle importanti ammissioni e riferisce che egli dopo aver fatto approvare dal governo il decreto n 306 dell’8 giugno 1992 che estendeva ai mafiosi il regime del carcere duro del 41 bis varato originariamente solo per le ribellioni carcerarie, incontrò resistenze da parte del Parlamento il quale non voleva convertire in legge questo decreto enel Ministero tant'è che dovette firmare personalemnte il decreto che disponeva il trasferimento di 400 mafiosi nelle carceri di Pianosa.
I decreti legge emanati dal governo devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla loro emanazione pena la loro decadenza. Quindi quel decreto doveva essere convertito in legge entro l’8 agosto 1992 (8 giugno 92 – 8 agosto 92).
Da queste informazioni nasce il sospetto che una delle ragioni per cui la strage di via D’Amelio fu accellerata fu proprio quella di consentire a Claudio Martelli di ottenere dal Parlamento la conversione in legge del decreto sul 41 bis sulla scia dell’emozione che la strage avrebbe generato.
In questo caso la sua tattica fu ancora più sopraffina. Ben sapendo che i democristiani volevano a tutti i costi che non ci fossero stati rivali alla nomina del loro uomo Bruno Siclari alla guida della Procura nazionale antimafia, in quanto lo stesso collega e amico di vecchia data di Borrelli doveva coordinarsi con lui nelel inchieste su Cosa Nostra, Martelli avrebbe sollecitato la nomina di Paolo Borsellino a Procuratore nazionale Antimafia dopo la morte di Falcone.
La cosa non sfuggì a Paolo Borsellino il quale quando apprese dalla stampa questa notizia commentò: “Ecco hanno messo le ossa davanti la bocca dei cani” con ciò intendendo dire che quella sollecitazione serviva a stimolare il suo omicidio, probabilmente come era già avvenuto per Giovanni Falcone.
L'assassinio di Borsellino e la convesione del decreto legge sul carcere duro avrebbe poi consentito a lui Martelli da un lato di apparire come l’alfiere più impegnato nella lotta alla criminalità, dall'altro di ingenerare nell’opinione pubblica l’enfatizzazione dello stragismo di Cosa Nostra, in modo da propiziare la sua totale distruzione o quanto meno la sua sottomissione a Ndrangheta e Camorra, organizzazioni più vicine alla Sinistra Democristiana, sua nuova rea politica.
Quando il referente politico dei Carabinieri dei Ros comprese questo assurdo progetto cercò disperatamente di strappare dalle mani degli uomini dell’intelligence che erano collegati a Claudio Martelli le trattative, portarle a sé onde gestire lui gli accordi e scongiurare la successiva strage di via D'Amelio. Ma non fece in tempo. Il 19 luglio 1992 la seconda strage palermitana fu portata a compimento.