Libertà come fine e il pericolo della pulizia etica
Pubblicato il 14/02/11 alle 10:45:15 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
È in gioco il senso delle nostre libertà, dei nostri diritti individuali e della nostra stessa democrazia Sbagliava tre volte il liberale Stuart Mill quando auspicava che a votare fossero solo le persone colte. Sbagliava perché, in democrazia, il pensiero politico di Caio vale quanto quello di Sempronio.
Sbagliava perché, se a votare, nel 1948, fossero state solo le persone che ancora adesso si ritengono le sole davvero colte - e, allora, esaltavano la pianificazione sovietica come superamento del capitalismo e del mercato - saremmo diventati una delle Repubbliche popolari. Sbagliava perché, oggi, con l'aria che tira, saremmo allo «Stato di pulizia etica».
Allora, ci salvò il senso comune del popolo, che votò per il male minore; è probabile che, domani, ci salverà ancora una volta il popolo, nell'accezione sociologica dell'Uomo qualunque. Che vota non per la «democrazia di alto stile» cara al direttore di Repubblica; ma, forse più per istinto e per passione che per Ragione, per una democrazia che gli consenta di vivere in pace, nelle libertà, nei diritti individuali e persino nella società dei consumi. Non mi piace, tanto per essere chiaro, l'uso che una minoranza ipocrita fa della donna per una finalità politica - rovesciare il governo - dopo averne predicato fino all'altro ieri l'autonomia e l'indipendenza soggettive (il corpo è mio e me lo gestisco io). Sarebbe inquietante, se non fosse ridicolo, il prototipo di donna virtuosa proposto secondo i canoni convenzionali dei regimi totalitari (le donne fasciste erano tutte esemplarmente uguali); prototipo che nulla ha a che vedere con le libertà e i diritti individuali delle donne e molto con l'arrogante, e bigotta, negazione non solo delle opinioni altrui, ma persino della realtà. Libertà che, a scanso di equivoci, non si sostanzia nei comportamenti, non sempre irreprensibili per un capo di governo, del cavaliere Silvio Berlusconi.
Lo snodo attorno al quale ruota tutto il dibattito odierno - ma che nessuno ha il coraggio di esplicitare, tanto meno chi ha in spregio quella degli altri - è se la libertà sia un fine o un mezzo. Per la cultura liberale è «il» Fine in una società «giusta», dove gli Individui godano della più ampia sfera di autonomia alla sola condizione di non arrecare danno agli altri. Per il neopuritanesimo dell'ultima ora, la libertà è «un» mezzo per la realizzazione di una società «buona», dove la sfera di autonomia individuale è non solo ridotta, ma etero-diretta all'affermazione della Virtù generale. Che non sarebbe neppure la società di Robespierre «l'incorruttibile» ma, a giudicare dai tanti corrotti che la predicano, quella imperfetta di sempre con la sola differenza che al potere sarebbero loro. In conclusione. È in gioco - non dico ancora in pericolo - il senso delle nostre libertà, dei nostri diritti individuali, della nostra stessa democrazia. Che, forse, è il caso di ricordarlo, o è democrazia liberale, per dirla con Isaiah Berlin, «pluralismo di valori», o non è; o è democrazia di popolo (di popolo), o è tirannia di una minoranza vociante.