Pubblicato il 06/12/08 alle 12:20:41 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Relazione di Renato Farina per il COUNTERJIHAD 2008 - Firenze
Scrivere e parlare di Oriana Fallaci per me non può prescindere dal rapporto personale avuto con lei. Non mi paragono certo ai suoi grandi amici. Né in alcun modo credo di essere stato importante per lei. Ma Oriana per me è stata decisiva per capire tante cose, persino quello che lei in quel momento rifiutava, ma al quale progressivamente si sarebbe avvicinata. Fino a che punto non so. Parlo del cristianesimo. Ma anche e più ancora di Gesù Cristo. Ricordo la volta che fui ospite per molte ore nella sua casa a Milano. Il centro di tutti i nostri discorsi (dei suoi!) furono il cattolicesimo, il Papa, Ratzinger, molto Ratzinger, e Gesù Cristo.
Lei amava molto Gesù Cristo. Lo intendeva come il contrario esatto di Maometto. Mi disse di lui: . Io confermai. E lei attaccò su Maometto e i figli di Allah, per i quali non esiste la libertà e impongono tutto con la violenza. Questa parte del suo pensiero è notissima, e bisogna comunque ripeterla, perché la tendenza di oggi è di esaltarla per la sua qualità di donna e di giornalista, persino di grande italiana, ma di saltare a piè pari contenuti della sua proposta al mondo. Ricordo l’allora ministro della Cultura, Francesco Rutelli, all’inaugurazione della mostra (bellissima, ma in parte reticente) a lei dedicata a Milano: non pronunciò mai le parole chiave della sua estrema battaglia: Islam e libertà, civiltà cristiana e nichilismo, la sua lotta contro l’eutanasia e la fecondazione in vitro. Niente. Esaltò la forma della sua scrittura. Ma in Oriana la forma e il contenuto erano la stessa cosa, come in ogni grande poeta e scrittore.
Questa è l’occasione per riprendere invece i contenuti. A me interessa molto il suo pensiero su Gesù Cristo. Io la contraddissi. Non era solo un filosofo. La sua pretesa era di essere il Messia, il Figlio di Dio. Citai T.S. Eliot, l’Eterno entrato nel tempo, senza cui il tempo non ha significato, e non c’è vera libertà. Lei mi ascoltava. Stupita. Poi dissi la parola Chiesa, come continuità della sua presenza, e mi sbranò. Attaccò gli apostoli, che avevano strumentalizzato Cristo per imbastire il loro potere. Disse che Dio era stato inventato dagli uomini per le loro esigenze, e così via. Le risposi, come no. Ma non sono interessanti qui le mie risposte. Poi però pronunciai, a sostegno del mio dire, Ratzinger, allora soltanto cardinale, e mi fermò. Voleva sapere tutto di lui. . E io: sì-certo. Le esposi le critiche del Papa all’esclusione di Dio dalla vita pubblica, l’orrore della Costituzione europea incombente, dove era dimenticato Cristo. E le esposi un concetto: cristofobia. L’Europa è ammalata di cristofobia, altro che islamofobia.
Etimologicamente – ovvio – islamofobia si dovrebbe tradurre paura dell’islam. Politici e intellettuali conformisti sostengono che sia una forma di razzismo, di negazione di diritti per il diversamente credente. Oriana non aveva paura dell’islam, anche se era certa in quel periodo ci avrebbe assassinati o comunque sottomessi. Ella lo odiava. Perché era (ed è) nemico di ciò che le era più caro: la libertà, molto semplicemente la libertà. E lei associava la libertà a quel Cristo che pure non credeva fosse Dio. Per questo le piacque la definizione: cristofobia, come chiave per capire l’Europa. Ci si vergogna di Gesù Cristo. Dissi, citando don Giussani, che anche la Chiesa e i cristiani si vergognano di Cristo. mi disse, con fiducia. Mi domandò di riuscire a crearle un contatto con lui, desiderava incontrarlo. La cosa avverrà quando il cardinale divenne Benedetto XVI, ma per lei era sempre . E lo incontrò nell’agosto del 2005. Per lei, lo si capisce dai suoi scritti, cominciò un periodo diverso. La malattia galoppava, ma galoppava in lei qualcosa d’altra. San Paolo dice: . Questo non lo so. Più che l’odore di Cristo direi “il suono delle campane”, che per chi sa di teologia e di sapienza popolare sono in fondo parenti molto stretti. Di certo, senza dimenticare la pericolosità dell’Islam, cominciò a colpire con forza crescente il nichilismo della cultura europea, la negazione dei doveri in nome dei diritti, la falsa concezione di libertà come vietato vietare. Soprattutto la rinuncia a una vita tenace, all’odio per il nulla, al combattimento per vivere, cui invece la cultura europea aveva rinunciato. E si dichiarò alleata del Papa. Contro la cristofobia, anche se non scrisse mai questa parola, troppo poco argentina e pura per lei. Però io credo che il lascito di Oriana Fallaci, somigli a questo.
Di recente, l’Italia ha ratificato all’unanimità il Trattato di Lisbona. Insomma tutte le carte che compongono una specie di Costituzione d’Europa. Oriana si sarebbe molto arrabbiata che in tutte quelle pagine e parole, non ci sia mai la parola Cristo. Il testo di Lisbona nella sua parte fondante e, in particolare, nel preambolo è puramente tautologico. Nel testo si trova la parola «valori», ma non si capisce su quale fondamento essi siano ritenuti tali. Il Trattato elenca nei suoi primi articoli l'eredità culturale, religiosa e umanistica, come se esistesse un punto di vista culturale e religioso più alto ed elitario, che alla fine si è emancipato dai legami con il passato e permette di guardare alle culture storiche dell'Europa come un fatto transeunte. Insomma, l'identità non detta del Trattato di Lisbona, così come interpretato dai suoi avventurosi sostenitori, è l'identità del «nessuna identità, per favore», perché l'identità è intesa come un martello picchiato sulla testa del prossimo. Si dice che siamo superiori a queste vecchie cose e che siamo quelli dei diritti umani. Ma i diritti umani su che cosa si fondano, su quale esperienza reale di umanità poggiano? Ciò non viene detto, ed è sciolto genericamente in formule che hanno paura persino a pronunciare il nome di questa origine storica. Il cristianesimo, cioè.
Così l'Europa, oltre a essere l'identità della non identità, è anche il luogo del non luogo, tanto è vero che può far parte dell'Europa chi non è geograficamente europeo. Non è un caso che l'Europa si esprima sempre in questo modo, ovvero dichiarando il suo non essere. L’affermazione della pace, senza memoria dell’identità, è la pace dell'appeasement, la pace che lascia spazio ai nemici della pace. Il rifiuto degli estensori di considerare le radici cristiane dell'Europa non è un’offesa al galateo per cui restano male il Vaticano e i cattolici, ma è il significativo rifiuto di ciò che è la realtà dell'Europa. Un grande costituzionalista ebreo americano, John Weiler, lo ha affermato esplicitamente: è impossibile ed è ridicolo parlare di Costituzione dell'Europa senza riconoscere ciò che la sostanzia. La memoria del cristianesimo, la persona di Gesù Cristo. Cristofobia, la paura di Cristo, questo è il problema del nostro tempo. E questo lascia spazio a ciò che ci ammazzerà o sottometterà tutti, comprese le anime belle timorose di passare per bigotte. Islam e nichilismo si sostengono a vicenda. Questo è stato l’ultimo insegnamento di Oriana. Bisogna riconoscere questa forza che ci costituisce ed è quella persona lì, quel Nazareno strano, morto (e risorto) per la nostra pienezza di uomini liberi. Ciò non significa dichiararsi per forza cristiani, ci mancherebbe: implica però il fare i conti con ciò che fonda persino il nostro diritto di dire: non sono cristiano.
L’ultimo regalo di Oriana, il suo romanzo, così sfolgorante di ribellioni proprio alla Chiesa e ai preti, è in questa linea: è esso stesso un cappello pieno di ciliege, come dice il titolo (Oriana Fallaci, Un Cappello pieno di ciliegie. Una saga, Rizzoli, pp. 862, euro 25). Significa assaporare non delle parole, ma il sapore delle cose e delle storie umane che le parole raccontano. Di solito non accade più. Di solito parole sono le parole, la letteratura è la letteratura, e la vita degli uomini scorre accanto, e al massimo cerca dalla letteratura e dalle parole un momento di divertimento, una uscita dalla noia dell’esperienza quotidiana intesa come insopportabile, giostra che non va da nessuna parte.
Per fortuna c’è questo libro. Un libro che ci costringe ad affacciarci non sui ghirigori ma sulle domande centrali di cui siamo fatti e che aspettano risposte. Oriana dice: non ce ne sono, di risposte. Dio è un’illusione, un’invenzione. Ma le domande sono reali, realissime. E in ogni pagina esse palpitano, nelle varie arcavole e nei vari arcavoli che si flagellano nelle processioni o bestemmiano sgangheratamente c’è quest’idea formidabile per cui ogni istante non è oro gettato nei tombini, ma una preziosità enigmatica, che chiede soccorso a un Dio che ella non vede e anzi nega, ma è continuamente interrogato, invocato, desiderato. Anche maledetto, come sembrano suggerire le vicende amare di questa nostra epoca di olocausti e stragi. Però la luce della libertà e della speranza non è stata spenta. Può salire sopra l’orizzonte, scaldarci e spazzar via il buio. Questa possibilità c’è. Non c’è una teoria da applicare. Ci sono dei maestri viventi da cui attingere e con cui incontrarsi. Oriana lo ha fatto, li ha cercati. Del resto la vita è un’avventura. Grazie Oriana.