La strage delle bambine - Sperare che non sia femmina
Pubblicato il 12/10/11 alle 15:34:47 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Attualmente gli Stati Uniti finanziano indirettamente (ma essendone ufficialmente a conoscenza) contraccezione di stato, sterilizzazioni e aborti forzati attraverso i milioni di dollari che ogni anno danno all’Unfpa, l’agenzia dell’Onu per la popolazione che considera le misure demografiche adottate dalla Cina talmente esemplari da suggerirle a tutti i paesi Il congresso degli Stati Uniti riceve in audizione l'associazione Women’s Rights Without Frontiers. Nuovi dettagli sulla guerra contro le femmine in Cina
“Si dice che le tre parole più pericolose da pronunciare in Cina siano ‘E’-una-bambina’”, ha detto il deputato americano Chris Smith, repubblicano del New Jersey e presidente della Commissione parlamentare per i diritti umani. Giovedì scorso in quella Commissione c’era un’audizione dedicata alle ultime testimonianze sulla politica del figlio unico in Cina, “il crimine di massa del governo contro donne e bambini non nati”: il controllo della popolazione che in trent’anni ha portato alla scomparsa di quattrocento milioni di femmine e a uno sterminio deliberato delle bambine a favore di un unico figlio maschio.
A confermare al Congresso l’ordine di grandezza delle conseguenze di aborti forzati, infanticidi e sterilizzazioni coatte era stato, giusto il giorno prima, un ex ministro della Salute cinese, Gao Qiang, secondo il quale la Cina oggi viaggia al ritmo di trentasettemila aborti al giorno per le politiche demografiche.
Reggie Littlejohn, l’attivista a capo dell’associazione Women’s Rights Without Frontiers, all’audizione ha portato un faldone con la documentazione di nuovi casi di abusi. Dell’uomo che ha raccolto testimonianze e foto si sa che ha 33 anni e vive in una città sulla costa, nella provincia di Lianing, facendo il contabile e rischiando carcere e tortura per renderle pubbliche.
Nel suo rapporto, fra le altre, si legge la storia di una donna presa per strada nella provincia di Henan e trascinata via da un responsabile locale della pianificazione familiare e da un’ufficiale cittadina “del settore femminile”, una polizia per sole femmine sguinzagliata alla caccia di chi non rispetta le regole. In molte province cinesi le donne devono presentarsi una volta ogni due o tre mesi al controllo che accerta che non siano rimaste incinta illegalmente, ovvero senza permesso dello stato. Per chi si è trasferita il regolamento prevede il ritorno per il controllo nella città di origine, e se l’appuntamento medico salta (c’è chi, per esempio, quel giorno non poteva lasciare l’ufficio o chi ha perso il treno) le autorità hanno diritto di picchiare, minacciare o arrestare te e tutta la tua famiglia, di entrare in casa tua e sfasciare tutto, di chiederti l’equivalente di tre mesi di stipendio in cambio della libertà.
La situazione precipita se vieni trovata incinta: il report racconta di due donne costrette ad abortire in modo orribile a un paio di settimane dalla data prevista per il parto. “E tanto è inutile che chiami la polizia o vai dal giudice, perché a nessuno fregherà nulla della tua storia”, come ha messo in chiaro un ufficiale di Shandong dopo aver riempito di botte una coppia inadempiente.
Gli uffici locali della pianificazione familiare sono attrezzati con celle, in cui vengono rinchiuse fino a venti persone alla volta, e sono efficientissimi: hanno “obiettivi di produttività” da rispettare e piani strategici per il controllo demografico. Il regolamento della provincia dello Jiangxi, per esempio, sancisce la contraccezione di Stato: chi ha da zero a un figlio deve mettersi una spirale (contraccettivo molto invasivo e con forti controindicazioni soprattutto per le più giovani), chi ne ha due farsi legare le tube. “Il governo, a tutti i livelli – si legge – dovrebbe creare le condizioni per assicurare che i cittadini scelgano consapevolmente metodi contraccettivi sicuri, efficaci e appropriati”.
“A causa di aborti selettivi e uccisioni delle bambine si stima che ci siano 37 milioni di maschi cinesi che non troveranno mai moglie, e questo favorisce la tratta sessuale delle femmine dai paesi confinanti”, dice al Foglio Littlejohn, fra i promotori del China Democracy Promotion Act of 2011, un disegno di legge che permetterebbe al presidente americano di vietare l’ingresso negli Stati Uniti di chi, fra i cittadini cinesi (come i nomi contenuti nel rapporto), si è macchiato di violazione dei diritti umani e ha partecipato all’imposizione della politica del figlio unico.
“In Cina – spiega – il corpo di una donna è proprietà dello stato. Con la sua ‘polizia dell’utero’ il Partito comunista cinese perpetra un crimine contro l’umanità”. Ad agosto il vicepresidente americano, Joe Biden, in visita a Pechino, ha detto di “comprendere pienamente” la politica del figlio unico e di non essere lì “per sindacare”.
Attualmente gli Stati Uniti finanziano indirettamente (ma essendone ufficialmente a conoscenza) contraccezione di stato, sterilizzazioni e aborti forzati attraverso i milioni di dollari che ogni anno danno all’Unfpa, l’agenzia dell’Onu per la popolazione che considera le misure demografiche adottate dalla Cina talmente esemplari da suggerirle a tutti i paesi. Il presidente del Rwanda, Paul Kagame, ha detto per primo di aver recepito con entusiasmo il consiglio ma ha dichiarato che per ora, se possibile, nel suo paese preferirebbe limitarsi “almeno a una politica dei tre figli”.
5 marzo 2010 La strage delle bambine Grande inchiesta dell’Economist sulla “guerra globale” contro il sesso femminile tramite l’aborto selettivo di massa. Ne mancano all’appello cento milioni. Un “genocidio di genere” con conseguenze devastanti
“La distruzione selettiva delle bambine è globale”. L’Economist lancia un paio di scarpette rosa in copertina sotto il titolo “Gendercide”. E la domanda agghiacciante: “Cosa è successo a cento milioni di bambine?”. E’ il genocidio di genere. “La guerra globale contro le bambine”. Un tema sollevato più volte anche da questo giornale, quello delle “missing girls”, le bambine asiatiche scomparse a causa dell’aborto selettivo. Cento milioni secondo l’Economist, forse di più, stando a molti rapporti internazionali.
La quarta Conferenza asiatica sui diritti riproduttivi aveva parlato di “163 milioni di bambine mancanti in Asia”. Sette anni fa un altro giornale dell’establishment anglosassone, il Financial Times, aveva posto la stessa domanda: “Dove sono andate a finire tutte le ragazze?”. L’Economist fornisce la risposta con quest’inchiesta impressionante. In Cina e nell’India del nord, per ogni 120 maschi nascono 100 femmine. La media mondiale è di 103-106 maschi ogni 100 femmine. In molti stati, siamo a 130 maschi contro 100 femmine.
Si sta riscrivendo la saga dell’evoluzione per mezzo dell’aborto, facendo venire meno una delle grandi costanti biologiche della specie umana. La superiorità delle femmine sui maschi. E’ un divario unico al mondo e senza precedenti nella storia. Il famoso dissidente dei laogai cinesi, Harry Wu, l’ha chiamata in un bel libro “La strage di innocenti”. In Cina un’ideologia mostruosa i figli li vuole unici, maschi e sani. Tramite slogan come “Allevare meno bimbi e più maiali” e “Casa distrutta, vacca confiscata se rifiuti la richiesta di aborto”. In India invece, per aggirare la legge che in teoria proibisce la selezione sessuale medici ed ecografisti indiani fanno con le dita la “V” di vittoria se il figlio è maschio. Sennò, niente, e allora il rimedio è semplice.
L’Economist utilizza l’aggettivo “catastrofico” per indicare la strage delle bambine. Nella sola Cina ci sono uomini senza controparte femminile quanto l’intera popolazione maschile statunitense. Traffico di spose, violenza sessuale, suicidi femminili fanno da contorno a quest’agonia demografica. “Non è una esagerazione chiamarlo genocidio di genere”, scrive l’Economist. “Le donne mancano a milioni – abortite, uccise e lasciate morire”. Nel 1990 fu il guru liberal Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia, a lanciare l’allarme sulla New York Review of Books: “Almeno sessanta milioni di bambine sono state cancellate in seguito a infanticidi o aborti selettivi di feti femmine”. Quindici anni dopo Sen ha aggiunto: “E’ l’ultima delle discriminazioni, l’aborto selettivo. Una discriminazione ‘high tech’”.
In Cina negli anni Ottanta il rapporto maschi/femmine era 108 a 100. Negli ultimi anni è salito a 124 a 100. In Cina fino alla ventesima settimana si abortisce in modo assolutamente legale e discrezionale, poi anche con la coercizione. Il professor Theodor Winkler, uno dei massimi esperti mondiali di discriminazione femminile, ha parlato di “una pratica eugenetica non riconosciuta e resa silenziosa. L’intera demografia asiatica entrerà in crisi se non fermeremo il massacro di Eva. In Cina c’è l’aborto forzato, mentre in India, dove pure ufficialmente la legge impedisce la selezione del sesso, si praticano ogni giorno decine di aborti di bambine. Nei fatti, è un aborto eugenetico di massa”.
Molti i paesi demograficamente fuori controllo, e non solo orientali. Come Taiwan e Singapore, gli stati balcanici e quelli ex comunisti dell’Europa orientale. “Il genocidio di genere esiste in ogni continente. Riguarda ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, indù, musulmani, confuciani e cristiani”, spiega l’Economist. Non sarà il benessere a fermare la strage. Taiwan e Singapore sono economie ricche. “In Cina e in India le aree con le peggiori statistiche demografiche sono quelle più ricche e istruite”. L’Economist individua tre fattori: “L’antica preferenza per i maschi, un desiderio moderno per famiglie piccole e la tecnologia agli ultrasuoni che identificano il sesso del feto”. L’Accademia cinese delle scienze sociali ha appena spiegato che entro dieci anni, un cinese su cinque non riuscirà a trovare moglie.
Prima degli anni Ottanta, alle bambine indiane veniva riempita la bocca di troppo riso, per soffocarle, oppure finivano ammazzate con grandi dosi di oppio. O anche, semplicemente, gettate via, o lasciate morire di fame. Poi è arrivata l’ecografia. Oggi è possibile fare diagnosi ecografiche persino nei villaggi ancora privi di acqua potabile o di aspirine. “Nel Punjab, Monica Das Gupta della Banca mondiale ha scoperto che le seconde e terze figlie femmine di madri ricche e istruite morivano in misura maggiore entro il quinto giorno dei loro fratelli”, racconta l’Economist.
Lo scenario è apocalittico. “Così come nel corso della storia gli eufemismi sono stati usati per mascherare l’assassinio di massa, termini come ‘feticidio femminile’, ‘preferenza maschile’ e ‘selezione sessuale’ sono oggi coperture per omicidi su larga scala”, dice il dottor Puneet Bedi, consulente del governo indiano. Le chiamano “kudi-maar”, omicidii di bambine.
Quando nel Punjab venne introdotta la prima macchina per l’ecografia, nel 1979, c’erano 925 femmine ogni 1.000 maschi. Nel 1991 erano scese a 875 e nel 2001 addirittura a 793. E’ in India che il fenomeno ha acquisito una dimensione in grado di oscurare il futuro stesso del continente e responsabile della scomparsa di un sesto della popolazione mondiale. Lo scorso novembre, un nuovo rapporto di Action Aid, intitolato “Disappearing daughters”, ha fotografato questo fenomeno crescente di selezione eugenetica su base sessuale. Il rapporto ha studiato cinque enormi distretti dell’India: Kangra nel Himachal Pradesh, Morena nel Madhya Pradesh, Dhaulpur nel Rajasthan, Rohtak nel Haryana e Fatehgarh Sahib nel Punjab. Rispetto al censimento del 2001, nei cinque distretti esaminati, il numero delle bambine rispetto ai maschi tra gli zero e i sei anni è ovunque in diminuzione.
L’India è così diventata la nazione al mondo con la percentuale più bassa di donne. E’ stato anche girato un film, “Una nazione senza donne”. Si apre con la sequenza di una bambina appena nata annegata dalla madre in un calderone di latte. Se il numero di cento milioni di bambine mancanti non riuscisse a scuotere abbastanza l’immaginazione, forse ci riuscirà un’altra statistica. Nel 2010, in Asia, una bambina in pancia ha il cinquanta per cento di possibilità di sopravvivere a una ecografia.