Pubblicato il 31/10/11 alle 15:40:13 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Perquisizioni a casa dei 12 indagati, tra Imola, Faenza e Brisighella. Tra loro anche il portavoce del Centro di cultura islamica Abdelghani Tajiri, marocchino L’IPOTESI è grave, come due anni fa: terrorismo internazionale. Dopo la condanna inflitta dalla Corte d’assise in primo e secondo grado a sei cittadini di religione islamica residenti fra l’Imolese, Bologna e Faenza, accusati di aver dato vita a una presunta una cellula jihadista, la storia non è ancora finita. Da una costola di quell’inchiesta un anno fa ne è nata un’altra volta a verificare l’operato di altre dodici persone vicine ai sei condannati nel primo procedimento.
IN SETTIMANA il pubblico ministero Enrico Cieri ha disposto la perquisizione delle abitazioni dei dodici indagati, sparse tra Imola, Faenza e Brisighella (una). Tra queste c’è anche quella del portavoce del Centro di cultura islamica Abdelghani Tajiri, 49 anni, marocchino in Italia dal 1993. Giovedì mattina all’alba gli uomini della Digos si sono presentati nella abitazioni degli indagati sequestrando telefonini, computer portali, filmati anche in Vhs, registrazioni e incartamenti tutti in lingua araba. I dodici sono sospettati di essere possibili indottrinatori di combattenti jihadisti e i loro nomi erano in qualche modo emersi negli atti della prima inchiesta che ha portato alla condanna del gruppo capitanato dal ‘colonnello’ Khalil Jarraya, anche solo perché sentiti parlare al telefono con precedenti indagati intercettati. Anche questi dodici, da un anno a questa parte, sono stati sottoposti a intercettazioni telefoniche e informatiche, il tutto allo scopo di verificare il sospetto che anche tra loro, così come nel precedente gruppo, si nascondessero possibili reclutatori o indottrinatori di ‘combattenti’.
TRA IL MATERIALE sequestrato nelle abitazioni ce ne sarebbe parte ritenuto apologetico della religione islamica e video in cui erano riportati addestramenti per ipotetiche azioni di guerriglia. Tutto materiale però che si può trovare liberamente su Internet e scaricare, precisano gli inquirenti. Ora procura e Digos dovranno capire se queste persone lo avevano in casa per uso personale oppure, come è il sospetto degli inquirenti e come fu ritenuto per i sei già condannati, per fare opera di proselitismo e reclutare possibili ‘combattenti’ che sostenessero la lotta religiosa. Stando agli inquirenti nel corso delle indagini i dodici si sono mossi con grande cautela e accortezza: parlavano poco telefonicamente e stavano sempre molto ‘in guardia’ nel comunicare tra loro, probabilmente allertati dal precedente procedimento contro i loro connazionali.
TUTTI magrebini, gli indagati vivono da anni nell’Imolese e alcuni sono assistiti dall’avvocato che si occupò della difesa dei sei condannati, il legale Desi Bruno. «Sono tranquilli e sereni. Ritengono di non aver commesso nessun reato», afferma.
Per Bruno il fatto che loro fossero finiti marginalmente nella precedente inchiesta (erano stati magari ascoltati mentre parlavano con i sei che furono condannati, o si scambiarono con loro qualche email) non ha importanza: «Quelli di Imola e Faenza sono ambienti piccoli e i connazionali islamici frequentano gli stessi ambienti e la stessa moschea». Intanto quest’estate ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza di secondo grado per i sei condannati. Difficile che il responso arrivi prima della primavera prossima.