Pubblicato il 18/12/08 alle 14:39:18 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Magrebino che seviziava la moglie: «E’ la mia cultura».
«Non si può picchiare nel nome di Allah» TORINO 17/12/2008 - Essere musulmani non significa essere autorizzati a non rispettare la legge italiana. E l’Islam non può essere una giustificazione per sevizie e maltrattamenti alla moglie. L’ha sancito la Cassazione, che ha confermato la condanna a due anni e sei mesi di reclusione nei confronti di un marito marocchino di 52 anni, Abdellilah F. processato per maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona, violenza sessuale ai danni della moglie e violazione degli obblighi di assistenza familiare.
L’uomo in Cassazione aveva sostenuto di non poter essere condannato in quanto «portatore di tradizioni sociologiche (BARBARE, CRUDELI E SELVAGGE N.D.S.) e abitudini antropologiche che confliggono con le norme penali italiane». Ma i magistrati di piazza Cavour hanno replicato che anche di fronte ai cosiddetti «reati culturali o culturalmente orientati, il giudice non può sottrarsi al suo compito naturale di rendere imparziale giustizia in base alle norme vigenti, assicurando tutela alle vittime, garanzie agli accusati e personalizzazione della condanna».
Aggiunge la Cassazione che «il ruolo di mediatore culturale attribuito dalla dottrina al giudice penale, non può mai attuarsi - come richiesto da Abdelillah F. - al di fuori o contro le regole che, nel nostro sistema, fissano i limiti della condotta consentita».
In pratica i supremi giudici non condividono affatto la tesi difensiva in base alla quale il marocchino in questione «in quanto cittadino di religione musulmana avrebbe della convivenza familiare e delle potestà anche maritali, a lui spettanti come capo famiglia, un concetto abbondantemente differente dal modello e dalla concezione corrente nello stato italiano». In proposito la suprema corte è intransigente e ricorda che tutte le persone che risiedono in Italia hanno «l’obbligo di conoscere il divieto imposto dalla legge ai comportamenti lesivi» anche quando è convinto di farlo in maniera «innocua, socialmente utile e non riprovevole», per via della propria provenienza culturale.