Pubblicato il 27/12/08 alle 11:05:16 GMT pubblicato da Una_via_per_Oriana
Intervento di Paolo della Sala - giornalista esperto in politica estera
Tutti in Italia e nel mondo parlano dei diritti all’autodeterminazione dei popoli. Certo tutti conoscono i recenti casi dell’Ossezia e dell’Abkhazia, ma lì il pur comprensibile desiderio di autonomia è stato schiacciato da esigenze petrolifere che hanno spinto la Russia a incentivare un’annessione più che l’autonomia. E’ come se il Kosovo fosse diventato territorio USA. Ditelo all’ambasciatore Sergio Romano. Io sono sempre stato dalla parte dei popoli in lotta per la libertà. Lo sono persino nel caso del Turkestan cinese (ribattezzato Xinijan), una ex grande impero, che aveva ambasciatori in Italia e nel Vaticano, dove si parla la lingua turca e dove la maggioranza è musulmana. Qui la Cina comunista ha praticato uno stragismo culturale simile a quello avvenuto nel Tibet. Tuttavia tutti conoscono le vicende del Tibet, pochi quelli del Turkestan. Ciò è un male perché ora, vista la mancanza di un supporto da parte dell’occidente, i turkestani si stanno convertendo al terrorismo e ad Al Qaida, anche se si deve distinguere tra gli attentati compiuti dagli jihadisti e le azioni di intelligence dei servizi del regime di Pechino. Il Turkestan è una via strategica, da dove passano armi e droga da Afganistan e Pakistan verso le Repubbliche ex sovietiche e l’Europa.
Il terrorismo e la mancanza di libertà sono un male diffuso ovunque. Vorrei parlare di due aspetti particolari: la libertà del popolo della Cabilia algerina, e ricordarci che la “War on terror” iniziata nel settembre 2001 è vinta, almeno sul piano culturale. Parliamo di Cabilia. Nel mondo purtroppo trionfano i “liberals” hollywoodiani e radical-chic, quelli della Fiera delle Vanità socialista e ambientalista. Per questo motivo non si parla di Cabilia, perché non è “fashion”.
I Cabili sono parte della popolazione autoctona dell’attuale Maghreb. Fanno parte dei berberi, o amazigh o tuareg, genti che abitavano il Nord Africa prima della jihad araba. Nel 642 erano ancora parte dell’Esarcato d’Africa, in mano bizantina. Nel corso dei decenni successivi gli arabi della dinastia ommayyade combatterono e vinsero l’esercito bizantino e i loro alleati berberi. Nulla di cui stracciarsi le vesti: la storia è piena di conquiste. Il punto è capire che i cabili non sono arabi, non parlano arabo, non hanno la cultura araba, e tendenziamente non sono musulmani. L’islam moderato ha finora tollerato l’esistenza del popolo cabilo, la cui lingua e cultura sono potuti arrivare fino a oggi. I problemi nascono in questi ultimi anni, con l’arrivo di missionari protestanti e cattolici, la crescita di alcune piccole chiese cristiane, il contemporaneo crescere del fondamentalismo jihadista legato ad Al Qaida al Maghreb. Si deve però fare attenzione nel dare la colpa delle attuali repressioni contro i cabili in silenziosa rivolta al solo jihadismo. Il fatto è che la Cabilia è una regione grande, in una terra ricca di gas e petrolio. Una rivolta –o la concessione di maggiori autonomie- viene considerata dal governo di Algeri come la fine dello Stato e della sua ricchezza. E’ un ragionamento sbagliato, lo stesso che viene fatto da molti stati autoritari in ogni parte del mondo.
Il risultato è che i cabili sono oggetto di crescenti attacchi, di repressione nei confronti delle loro scuole. Preti e pastori vengono allontanati o espulsi dall’Algeria, gli attentati si succedono (e non tutti sono di matrice salafita). Dopo gli attentati arriva l’esercito e cresce il controllo del territorio. Quest’estate intere montagne di quella bella terra sono andate bruciate, per colpa di misteriosi incendi che i cabili attribuiscono ai loro nemici, quale sia la loro uniforme o credo. In queste settimane il regime algerino ha vietato che il quinto congresso mondiale del CMA (Congresso mondiale Amazigh) si svolgesse in Cabilia. Nei giorni scorsi un giovane cabilo è stato accoltellato perché stava attraversando l’Algeria, con la colpa di esporre sulla sua macchina il simbolo della sua terra. Forse il governo algerino dovrebbe capire che i cabili non chiedono la luna, ma solo un minimo di autonomia…
Concludo con una nota sulla così detta “War on terror”. Sono passati 7 anni dall’11 settembre 2001. In quei giorni è sembrato che la rivolta wahabita potesse concretamente prendere il potere nei paesi arabi sunniti, e che lo jihadismo potesse diventare una minaccia continua per le nostre città. Non erano favole: sono crollate le Twin tower, il Pentagono, le stazioni di Madrid, la metropolitana di Londra… Se non ci fosse stata una reazione da parte del presidente vituperato dallo jihadismo laico dei postcomunisti mondiali -parlo di G.W. Bush- oggi probabilmente l’Occidente sarebbe in condizioni tragiche. Non parlo di geopolitica, la guerra non piace a nessuno. Certo si dovrebbe pensare cosa sarebbe oggi il mondo se oltre all’Iran ci fosse ancora l’Irak di Saddam Hussein e l’Afganistan dei talebani. Cosa sarebbe il mondo oggi se la Russia, dopo aver potuto comunque diventare ricca come mai prima grazie all’occidente, avesse potuto riprendersi l’impero sovietico che l’America di Reagan e Bush, non quella di Carter e Clinton, ha saputo liberare senza sparare un solo colpo. Forse in Georgia non c’è libertà, ma di sicuro in Ucraina si vive molto meglio oggi che al tempo di Breznev e di Chernobyl. Il terrorismo non è riuscito a imporre un califfato mondiale wahabita. Gli arabi sunniti sono alleati degli europei. Il problema non è risolto: basta pensare agli attentati che proseguono, all’Afganistan e al Pakistan.
Ma oggi lo jihadismo è guidato dagli sciiti iraniani. Il pericolo è nella loro alleanza, del tutto materialista, col Venezuela comunista (che ospita Hezbollah) e con la Russia nazionalista. Possiamo dire che la battaglia culturale è contro lo sciitismo, mentre quella geopolitica è diventata una Guerra Fredda energetica (vedo che il termine è stato ripreso da altri, ma ne rivendico la paternità). Dobbiamo comunque capire che l’Europa di oggi, grazie a registi, semplici cittadini, giornalisti, e personalità come quella di Oriana Fallaci, non è quella del 2001. Non vedo più le ombre del relativismo e del pensiero debole. Non vedo più le “rivolte delle banlieues”. Vedo che i governi europei sono cambiati: il prodismo è crollato in Europa prima che in Italia. I governi attuali non saranno migliori per efficienza, forse.
Non sta qui trattarne. Possiamo però dire che la nuova generazione politica europea ha saputo contrastare la dhimmitudine. Non so se Sarkozy ha letto i libri di Bat Ye’Or e della Fallaci, so però che tra lui e chi l’ha preceduto c’è un salto culturale enorme. Grazie a Bat Ye’Or, alla Fallaci, a un ripensamento collettivo generale. Oggi può nascere un arabismo nuovo, più laico e moderno, anche nei paesi del sud del Mediterraneo. Non so se il progetto della Unione per il Mediterraneo possa contribuire a ciò. Forse potremmo vincere questa battaglia, se i Fondi Sovrani di Arabia ed Emirati finanzieranno finalmente l’industrializzazione del Maghreb e di altri paesi africani. Così l’emigrazione potrà finire davvero, e con essa i suoi enormi problemi sociali, dovuti alla pessima politica degli Andreotti d’Europa. Se l’Unione per il Mediterraneo non è una mistificazione “prodiana”, ne potrebbe nascere un’area di libero scambio, fatale per chi spera nella vittoria del talebanismo mondiale perché vuole la sottomissione dell’Occidente, come il perpetuarsi della sottomissione dei popoli di fede musulmana e di cultura araba non tanto alla divinità quanto al proprio ego e alla propria sete di potere e sangue.