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Consiglio Italiano Rifugiati: riconoscere i “migranti climatici”. Sono 32 milioni

7 lug – Il Cir lancia l’allarme sul mancato riconoscimento giuridico di chi è costretto ad abbandonare il proprio paese a causa di un disastro ambientale

Ormai sono più di 32 milioni le persone che non possono tornare nelle loro case ma non hanno diritto al riconoscimento di rifugiato stabilito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che nasceva per proteggere quanti erano costretti a lasciare i loro paesi a causa di persecuzioni. Stiamo parlando dei migranti climatici, oggi in aumento in molte parti del pianeta, costretti ad abbandonare le loro terre a causa di cambiamenti ambientale: uragani, innalzamento del livello del mare, tsunami, terremoti, alluvioni e desertificazioni. Cambiamenti che possono essere temporanei o permanenti.

Nel 2012 l’Africa contava 8,2 milioni di eco-profughi. La situazione peggiore. I movimenti della popolazione causati dai mutamenti climatici rappresentano il 98% dello spostamento globale delle persone. I numeri più alti si registrano in India, dove nel 2012 ci sono state quasi 7 milioni di persone sfollate a causa di alluvioni e piogge cicloniche, e in Nigeria, dove nello stesso anno a causa di inondazioni durante la stagione delle piogge si contano più di 6 milioni di persone scappate sotto la pressione questa minaccia.

Una buona fetta di questa popolazione si trova anche in paesi occidentali, in particolare negli Stati Uniti colpiti da una serie di uragani negli ultimi anni. Ma in moltissimi casi, come riferisce l’Internal Displacement Monitoring Center (IDMC), si tratta di paesi già oppressi da conflitti e povertà diffusa che diventano aggravanti importanti in situazioni ambientali critiche, paesi come la Nigeria, il Pakistan, con quasi 2 milioni di profughi nel 2012 e il Sud Sudan che ne ha contati 340 mila nello stesso anno. Anche in questi casi IDMC sottolinea una sostanziale disparità tra paesi ricchi e paesi del sud del mondo. Negli Stati Uniti la risposta assistenziale iniziale per gli sfollati dell’uragano Sandy è stata positiva, mentre ad Haiti dopo tre anni centinaia di migliaia di persone ancora vivono ancora in tende improvvisate. E sono molti i paesi in cui provvedimenti intempestivi e non adeguati hanno lasciato le popolazioni colpite a loro stesse.

I numeri e i fatti parlano chiaro, ma cosa succede loro? Cosa succede a quanti sono costretti non solo a lasciare le loro case, ma ad emigrare in un altro stato? Uno delle organizzazioni umanitarie più attive in questo campo, il Consiglio Italiano per i Rifugiati, esprime grande preoccupazione per l’assenza di risposte convincenti su questo tema da parte degli organismi internazionali e dagli stati. L’attuale quadro legislativo fa di questi migranti degli “invisibili”: non c’è alcuna risposta di protezione né un sistema improntato alla gestione e difesa di questi “nuovi” flussi. Sono solamente 2 i paesi in Europa che si sono dotati di un quadro normativo al riguardo: la Finlandia e la Svezia. In questi Stati le persone che non possono tornare in modo sicuro nei loro paesi di origine a causa di disastri ambientali possono ottenere una protezione temporanea o una protezione umanitaria permanente. Gli Stati Uniti prevedono una protezione solo temporanea per le persone vittime di disastri ambientali provenienti da paesi in cui ci sia un notevole, ma temporaneo, disfacimento delle condizioni di vita; o nel caso in cui un paese sia temporaneamente incapace di affrontare il ritorno di suo cittadini; oppure anche quando un paese straniero richieda ufficialmente questa protezione.

E nel resto del mondo? Il CIR si dichiara convinto che questa sia una delle sfide di questo secolo. Senza strumenti adeguati cosa faremo di milioni di persone costrette a fuggire dai propri paesi di origine, senza poter tornare, ma che al contempo non hanno alcuna possibilità di residenza legale in un altro luogo del mondo? Come la seconda guerra mondiale ha costretto il mondo ad aprire gli occhi sul dramma dei rifugiati portando alla nascita della Convenzione di Ginevra, questi progressivi disastri climatici devono portare a una nuova consapevolezza internazionale e quindi a strumenti di protezione per gli eco profughi. Si deve ricordare infatti che questi disastri ambientali sono provocati dall’uomo e che la comunità internazionale e gli Stati non stanno agendo con la dovuta risolutezza per fermarli. C’è bisogno di un’assunzione di responsabilità internazionale.

federica ciavoni per  La Stampa

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