Da tempo l’Ungheria è nel mirino degli osservatori internazionali. Il Paese è finito, nel corso degli ultimi mesi, nell’occhio del ciclone per 2 motivi: il presunto autoritarismo del premier Viktor Orban (nella foto) e la nuova costituzione, al cui interno vi è un esplicito riferimento alla radici cristiane del paese.
Abbiamo chiesto al professor Gàbor Hamza come stiano le cose.
Può parlarci, anzitutto, della vostra Costituzione?
La Costituzione ungherese (il termine esatto con cui è chiamata nel nostro Paese è Legge fondamentale) fu messa a punto l’anno scorso ed è entrata in vigore il primo gennaio di quest’anno. E’ la prima costituzione scritta e democratica dell’Ungheria; quella precedente risale al 1949 e rappresenta la versione ungherese della Costituzione staliniana del 1936. E’ stata approvata con i due terzi del Parlamento e, tra tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica, è stata promulgata per ultima.
Perché avete inserito un riferimento alle radici cristiane?
Il riferimento ai valori cristiani si comprende considerando il contesto storico in cui è stata introdotto. Il Regno d’Ungheria fu costituito nell’anno 1000 e il suo primo re fu Santo Stefano. Da allora, la cristianità ha sempre connotato strutturalmente il Paese. La rottura imposta dal regime, tra il 1949 e il 1990, rappresenta una semplice parentesi nella storia dell’Ungheria.
In sede europea è sorta la polemica circa l’opportunità dell’inserimento di tali radici.
Anzitutto, secondo l’ultimo censimento, l’80 per cento della popolazione si identifica in una delle comunità religiose cristiane. La nostra decisione, quindi, è anzitutto giustificata in senso sociologico. C’è da aggiungere e ricordare che ci sono 5 Paesi membri dell’Unione europea dove viene menzionata l’invocazione a Dio, mentre in altri 6 o 7 c’è un riferimento indiretto. Non è, quindi, una peculiarità ungherese. […]
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