di Alexandre del Valle
Il 3 dicembre 2012, un fatto tragico, tra gli altri, è passato sotto silenzio sui media occidentali: una suora cattolica di origine svedese, Bargetta Emmi, missionaria da più di 40 anni in Pakistan, è stata trucidata dagli islamisti. Suo unico crimine era stato quello di aver aiutato delle giovani pachistane a proseguire i loro studi…
Altro avvenimento passato sotto silenzio dai nostri media, caratterizzati da un’indignazione molto selettiva: il 15 dicembre 2012, a Bergamo, è stata organizzata una «Giornata contro la persecuzione dei cristiani», per iniziativa dell’associazione pakistana SAMA (South Asian Minority Association) e l’Associazione Una Via per Oriana di Armando Manocchia. Durante questo incontro, sponsorizzato dalla Diocesi di Bergamo, sacerdoti e militanti pakistani dei diritti dell’uomo hanno raccontato la terribile situazione dei cristiani e delle minoranze non musulmane nel loro Paese, dove la shari’ah[1][1] è la principale fonte del diritto e dove le leggi «anti-blasfemia» permettono, dopo il 1986, di far condannare a morte coloro che «diffamano l’Islam». Gli articoli 295 A, B e C della Costituzione pakistana permettono di condannare alla pena capitale cristiani, indù, ahmadi[2][2], sciiti ed altri «infedeli» accusati di «blasfemia».
È in virtù di questa Costituzione sharitica che è stata condannata a morte Asia Bibi, colpevole di aver «profanato l’Islam» per aver bevuto ad un «pozzo musulmano»; ed è unicamente per aver denunciato questo che il governatore del Punjab (pakistano), Salman Ka Teseer, musulmano moderato, figlio di madre cristiana e sposato ad una cristiana, è stato ucciso nel gennaio 20111. Il suo assassino, Mumtaz Qadri, in carcerazione preventiva, non è stato condannato a morte: durante la prima udienza del processo, è stato accolto trionfalmente da migliaia di islamisti, che minacciavano di uccidere il figlio del governatore martire, rapito dai talebani, se l’assassino non fosse stato liberato… Ricordiamo che, dopo l’assassinio di Salman Ka Teseer, fu la volta del Ministro – cristiano – delle minoranze, Shabbaz Bhatti, colpevole, anche lui, di aver difeso Asia Bibi e di aver chiesto l’abolizione della legge sulla blasfemia, di venire assassinato, il 2 marzo 2011, ad opera di islamisti. Essi, oggi, minacciano tutta la sua famiglia, che si deve nascondere.
Nel luglio scorso, un altro caso egualmente tragico, nella sua atroce banalità per il Pakistan, ha scosso il villaggio di Mahra Abad (Islamabad), quando una giovinetta cristiana – handicappata mentale – Rimcha, di 14 anni, è stata condannata per «profanazione», per aver bruciato delle pagine del Corano. In un secondo tempo, la giustizia ha dimostrato che le pagine erano state bruciate volontariamente dall’Imam che aveva accusato la ragazzina, nel frattempo denunciato da due suoi ex fedeli. Ma, nonostante ciò, Rimcha è tuttora minacciata di morte dalle organizzazioni islamiste pakistane e la sua famiglia ha dovuto abbandonare il suo villaggio, cambiare nome e vivere nascosta, per sfuggire alla morte. Più innocente ancora, nessuno studio legale , nessun Ministro, nessun organo d’informazione osa difendere Rimche, per paura d’essere uccisi. Per dissuadere del tutto un eventuale Zola pakistano, gli islamisti hanno avvertito il consigliere del Primo Ministro per le minoranze, fratello di Shabbaz Bhatti, che, se dovesse aiutare Rimcha ed i suoi a trovare rifugio all’estero, sarebbe immediatamente ucciso…
Strano «alleato» l’Occidente: il Pakistan – Paese padrino dei talebani e protettore di Bin Laden – si batte, a partire dal 1990, in seno all’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI) e delle Nazioni Unite per far approvare leggi contro «l’islamofobia». Seguace della tecnica del ribaltamento delle accuse, il Pakistan è, pertanto, parte del plotone di testa dei Paesi dove le minoranze sono maggiormente perseguitate.
Un esempio tra i tanti, purtroppo passato sotto silenzio dalla stampa europea: nell’agosto 2012, Zafar Ghatti, un cristiano, è stato condannato per blasfemia, per aver inviato un sms «blasfemo» al cellulare di un Imam, sms effettivamente inviato da una carta sim a suo nome, ma acquistata a sua insaputa. Zafar Ghatti langue oggi in prigione e la sua famiglia, minacciata di morte, ha dovuto abbandonare il villaggio di New Town Rawalpindi (Islamabad) e vivere nascosta.
Nel «Paese dei Puri», l’odio verso i cristiani non solo è pubblico, ma accresce la popolarità. È così che l’ex campione di cricket pakistano, Imran Khan, ex capitano della nazionale di cricket, candidato alle elezioni presidenziali per il partito filo-talebano Pakistan Tehrik-E-Insaf, ha proclamato: «con me in vita, nessun cristiano entrerà nella nazionale, anche se giocasse meglio dei musulmani», aggiungendo che «coloro che insultano l’Islam meritano la morte»… si potrebbero citare migliaia di altri casi di persecuzione di cristiani, ahmidi, sciiti ed indù in Pakistan.
Così, il 4 dicembre scorso, nel villaggio di Ghulam Nabi Shah (provincia del Sinh), Vajanti Meghwar, una bambina indù di 6 anni è stata violentata da islamisti anti-indù; in seguito, la fanciulla ha subito molti interventi chirurgici e la sua vita è ancora in pericolo, ma, per incredibile che ciò possa sembrare, quando la sua famiglia ha reclamato giustizia, le è stato risposto che non si poteva far nulla per lei…
Nella maggior parte dei casi, in effetti, quando i Paesi occidentali non si mostrano ufficialmente pronti a dare battaglia, come nel caso di Asia Bibi, i non musulmani perseguitati non sono difesi. Poiché nella shari’ah, totalmente in vigore in Pakistan, la testimonianza di una donna o di un non musulmano non ha mai la benché minima probabilità di venire presa in considerazione dai giudici, quando contraddice quella di un musulmano. I «miscredenti» non possono contare sulla giustizia, né sulla solidarietà dei loro amici musulmani, essi stessi minacciati se li difendono. In Pakistan, come in numerosi altri Paesi musulmani, un «infedele» non può mai essere capo dell’esercito, alto funzionario o candidato alle elezioni presidenziali. I cristiani non possono costruire o restaurare una chiesa senza autorizzazione federale, pressoché sempre rifiutata. Non possono mai esprimere pubblicamente la loro Fede, mentre sono obbligati a seguire corsi di Corano nelle scuole. Nella migliore delle ipotesi, le ragazze non musulmane violentate o rapite – non potendo denunciare i propri aguzzini – possono salvare la propria vita sposando i loro aguzzini e convertendosi all’Islam, poiché la polizia si rifiuta di ricevere le loro denunce o le rende inoffensive producendo falsi rapporti. Di qui la triste, ma lucida frase dell’assassinato Ministro per le minoranze Shabbaz Bhatti: «Noi siamo senza voce e senza terra, stranieri nel nostro stesso Paese».
Così, mentre l’Europa si batte il petto e persegue la sia pur minima traccia di «islamofobia» denunciata da Paesi islamici, costoro praticano una cristianofobia formale e disinibita senza incontrare la minima reazione da parte delle nostre autorità. Ma il loro silenzio è colpevole, perché i paesi che perseguitano le minoranze cristiane sono spesso, come il Pakistan, l’Arabia Saudita, il Kuwait o anche la Turchia, paesi «amici». L’Occidente potrebbe esercitare pressioni su di loro, per far sì che essi abroghino o ammorbidiscano le leggi che autorizzano la persecuzione. Ma tutta la differenza tra la cristianofobia e islamofobia consiste nel fatto che, se la prima viene combattuta in tutto il mondo, grazie alla pressione dei Paesi musulmani, la seconda è tollerato ovunque, a cominciare dai Paesi occidentali, che hanno negato le loro radici cristiane a favore di un relativismo culturale suicida e di una sorta di espiatorio masochismo collettivo.
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