”In una societa’ liberale e pluralista ci sono azioni che devono rimanere intollerabili, che non possono cioe’ essere oggetto solo di biasimo morale ma che richiedono la sanzione giuridica, perche’ minano le condizioni stesse della convivenza civile”. Cosi’ in un documento, il Centro di Ateneo di Bioetica dell’Universita’ Cattolica del Sacro Cuore diretto da Adriano Pessina, a proposito delle tesi enunciate da Alberto Giubilini e Francesca Minerva nell’articolo ”After-birth abortion: why should the baby live?” pubblicato sul ”Journal of Medical Ethics”. ”L’articolo, scritto da due autori italiani – spiega il Centro di Bioetica della Cattolica – sostiene la legittimita’ morale e giuridica dell’infanticidio chiamandolo, con una manipolazione linguistica su cui occorrerebbe soffermarsi, ‘aborto post-nascita’.
Chi conosce il dibattito bioetico sa che questa tesi non e’ affatto originale: rappresenta una riproposizione, forse neanche troppo efficace, delle argomentazioni del bioeticista australiano Peter Singer, da sempre sostenitore della legittimita’ dell’aborto volontario e dell’infanticidio.
Ormai anche le cosiddette prestigiose riviste internazionali riciclano tesi vecchie e poco consistenti. Singeriana e’ anche l’argomentazione di fondo utilizzata nel testo: si legittima l’infanticidio perche’ i neonati, anche in assenza di una condizione patologica, non avrebbero alcun esplicito interesse a vivere e in questo loro limbo coscienziale non godrebbero nemmeno dello statuto di persona. Uccidere un neonato, insomma, non determinerebbe nessun danno”.
”In realta’ – obiettano gli studiosi dell’Universita’ – fin dal suo primordiale sviluppo ognuno di noi manifesta un esplicito interesse alla vita, che potra’ poi essere confermato o no con atti e parole se non verremo uccisi prima in nome del ‘disinteresse’ altrui. L’essere persona umana si inscrive in questa condizione esistenziale per cui ognuno si qualifica come ‘figlio’ e non soltanto come puro insieme di organi interpretato dalle leggi della medicina e della biologia. Negare questa lettura del venire al mondo e stravolgere cosi’ il senso della stessa generazione umana significa violare definitivamente la prospettiva etica, che non e’ mai puro bilanciamento di interessi, di costi e benefici”. Una lettura del concetto di interesse per la vita, quella proposta , ”miope” e anche ”cinica” perche’ ”legittima l’individualismo del piu’ forte (l’adulto sano) che non ha alcun ‘interesse’ allo sviluppo degli interessi di coloro che ha generato. Interroghiamoci su quale immagine di padre e di madre emerga da questa ‘colta’ dottrina”, esortano i bioeticisti della Cattolica.
”Una barbarie in doppio petto accademico – chiarisce il documento – che di fatto riapre lo spazio dello stigma sociale nei confronti della malattia e, ancora piu’ semplicemente, dell’infanzia”.
”Ad inquietare e’, poi, – aggiunge – il fatto che proprio il concetto di persona, divenuto nella cultura occidentale la via breve per riconoscere dignita’ e diritti a tutti gli uomini, finisca per essere utilizzato per legittimare sul piano teorico la piu’ evidente violazione dei diritti dell’uomo.
Al di la’ della riflessione accademico-culturale, il tema diventa decisivo, dunque, anche dal punto di vista politico.
Se non siamo in grado di tutelare chi non e’ capace di auto-tutelarsi mettiamo fine all’idea stessa di democrazia cosi’ come l’abbiamo ricostruita dopo le violenze totalitarie”.
http://www.asca.it/news-Bioetica_Pessina_aborto_post_nascita_barbarie_in_doppio_petto_accademico-1129614-POL.html