TUNISI, 28 MAR – Per oltre vent’anni le porte della Tunisia laica voluta e difesa da Zine El Abidine Ben Ali erano rimaste serrate per chi dell’islam voleva fare una bandiera. Ma la caduta del dittatore e, soprattutto l’affermazione del confessionale Ennahdha quale maggiore partito del Paese, ha stravolto tutto e la conseguenza piu’ evidente e’ che ormai la Tunisia e’ diventata una piazza ospitale per tutti: predicatori fanatici, incitatori alla violenza in nome di Allah, jihadisti, fautori delle mutilazioni genitali femminili.
Una stato di cose che rischia di rendere ancora piu’ inadescente la situazione per le continue contrapposizioni tra integralisti islamici e laici che solo per un caso non hanno ancora determinato un dramma. Tutto sembra ormai lecito, soprattutto per quelli che Ben Ali aveva tenuto ben lontani dai cofnini tunisini.
E cosi’ accade che Tarek Maaroufi, appena uscito da un carcere belga, dove ha scontato dieci anni di reclusione per terrorismo, sia salito in aereo e abbia raggiunto Tunisi, accolto da una ventina di salafiti con gli occhi colmi di lacrime. Uscito dagli arrivi internazionali, Maaroufi si e’ inginocchiato, pregando e baciando il suolo. E, tanto per evitare che qualcuno potesse pensare che la galera lo avesse indotto a cambiare idea, s’e’ detto felice di avere visto che la jihad e’ ancora nella mente dei tunisini.
Puo’ essere o meno che egli abbia ragione, ma il suo profilo (era accusato di legami con al Qaida e di complicita’ nella morte del comandante Massud, ucciso due giorni prima degli attacchi terroristici dell’11 settembre in America) dovrebbe indurre a una grande attenzione per quel che fara’ nel futuro piu’ vicino.
Un altro elemento su cui riflettere e’ l’aumento esponenziale del lavoro della polizia di frontiera tunisina allo scalo aereo della capitale, dove gli arrivi di controversi predicatori, prima destinatari di divieto d’ingresso, e’ questione di tutti i giorni. Domenica ne sono arrivati due.
Il primo, Héni Sbai, Fondatore del centro di studi storici Maqrizi, sarebbe stato condannato a 15 anni di reclusione in Egitto e ricercato dalle magistrature di diversi Paesi per “collaborazione attiva” con i talebani e al Qaida.
A distanza di poche ore ne e’ sbarcato un altro, Abd El Mustafa Mun’em Halima Abu Bassir alias Abu Bassir El Tartusi, predicatore d’origine yemenita, che ama ripetere che ”piu’ della meta’ del Corano e centinaia di parole del Profeta chiamano alla jihad e alla lotta contro i tiranni”. In entrambi i casi, erano attesi da salafiti festanti, che a muso duro hanno ottenuto per i loro beniamini il ”passi” dalla Polizia.
In un Paese che sta discutendo sul suo profilo (islamico o arabo), i predicatori trovano sin troppo terreno fertile, in assenza di una risposta dello Stato, sollecitata anche dal leader di Ennahdha, Rached Gannouchi. Troppe le minacce che non hanno reazione da parte delle istituzioni: domenica uno sceicco ha chiamato i tunisini a prepararsi ad uccidere gli ebrei; nella stessa occasione un predicatore ha augurato la morte (poi ha spiegato che parlava di politica) dell’ex premier Beji Caid Essebsi.
E nell’aria c’e’ ancora l’eco delle allucinanti proposizioni di un predicatore egiziano wahabita, Wajdi Ghenim, venuto in Tunisia a dire, davanti a folle in delirio, che le mutilazioni genitali femminili non sono solo imposte dal Corano, quanto ambite perche’ operazioni di chirurgia estetica.
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