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La Fallaci continua ad aver ragione

La minaccia islamica c’è ancora. E noi non dobbiamo girarci dall’altra parte. Dobbiamo combatterla, prima di tutto in casa nostra. Altrimenti sarà la fine  (15 settembre 2011)

Dieci anni fa l’attentato alle Twin Towers di New York. Cinque anni fa la morte di Oriana Fallaci. Ricorrenze per me intrecciate, legate l’una all’altra. Si, perché la grande giornalista fiorentina ha animato come nessun altro il dibattito culturale del dopo 11 settembre, non solo in Italia, ma nel mondo intero.

Ricordo ancora che, sul finire dell’ultimo anno di liceo, lessi con avidità la famosa “Trilogia” e ne rimasi folgorato. In quei libri ho potuto trovare il mio stesso pensiero, i miei stessi sentimenti, le mie stesse emozioni. Non che non ci fossero punti di disaccordo. Non potevo e non posso condividere l’ateismo della Fallaci, le sue considerazioni inesatte sulla storia della Chiesa e la sua sovrapposizione troppo estrema di religione islamica e musulmani. Ma è ben poca cosa rispetto al gran bene che, sul finire della propria vita, la giornalista ha compiuto per mezzo dei suoi scritti.

Ora tutti la ricorderanno come grande scrittrice e tenteranno di manipolare le sue idee, espresse con estrema chiarezza, per portare acqua al mulino di partito. In vita fu soprattutto la destra a compiere sciacallaggio, facendo passare la Fallaci come un Borghezio qualsiasi. In morte è la sinistra che si appropria indebitamente di ciò che non le spetta, rivisitando e revisionando il pensiero della giornalista. Ma Oriana Fallaci non è mai appartenuta a nessuno schieramento e ha sempre preso le distanze da chiunque, mantenendo così un punto di vista lucido sulla situazione politica italiana ed anche americana.

Per me resta pur sempre un personaggio di matrice progressista e d’altronde la sua storia personale lo dimostra. Tuttavia, dopo l’11 settembre 2001, assunse una posizione certamente più vicina a quei settori dell’opinione pubblica che guardavano con preoccupazione alla violenza islamica.

Molti per questo l’hanno criticata, giudicandola una traditrice. Alcuni si sono persino spinti a dire che scriveva quelle castronerie perché malata, vecchia e un tantino fuori di testa. È il solito metodo di certa sinistra: se non stai con essa, hai qualcosa che non va.

Eppure Oriana Fallaci ha venduto milioni di copie, quando, dopo un decennio di silenzio, rimise in un certo senso l’elmetto e la divisa militare per scendere ancora in trincea, questa volta con lo scopo di combattere l’invasione islamica. Le sue prese di posizioni sono forti e proprio per questo efficaci. Pertanto possono piacere o non piacere, possono essere amate o odiate. Di sicuro non lasciano indifferenti.

La scrittrice ha cercato di dare una svegliata all’Occidente e soprattutto all’Europa, vittime della cultura relativista e nichilista che le ha rese terre di conquista dei maomettani. La Fallaci denunciava il lassismo, l’edonismo e l’inconsistenza della cultura e della politica di noi occidentali di fronte al pensiero forte e violento dell’islam. Sbeffeggiata e derisa proprio perché diceva la verità, la signora Oriana non provò vergogna nel definirsi un’atea cristiana, ma anzi rivendicò con orgoglio la civiltà costruita dalla Chiesa di Roma nel corso dei secoli e confessò di ammirare quel Ratzinger divenuto poi papa Benedetto XVI, con cui ebbe la fortuna di poter colloquiare faccia a faccia. C’è chi ha definito la giornalista una cattiva maestra, una seminatrice di odio, una razzista xenofoba, una paranoica, ma si trattava e si tratta ancor oggi di calunnie e infamie, niente di più.

Quando la Fallaci definiva l’islamismo il nuovo nazifascismo aveva visto giusto. I suoi ragionamenti sono stati lungimiranti. Purtroppo è rimasta una Cassandra, perché nessuno si accorge che Troia brucia anche oggi. Il pericolo del fondamentalismo è tutt’altro che estinto. Dieci anni dopo l’11 settembre Al Qaeda è senza dubbio più debole, nonostante i monotoni videomessaggi di al-Zawahiri, Bin Laden è morto, gli attentati si sono ridotti. Ma la guerra al terrore deve continuare, specie ora che non sappiamo quale sarà l’evoluzione della cosiddetta primavera araba nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Tuttavia, la gente sembra essere tornata nel suo torpore e nella sua indifferenza.

E proprio per questo l’assenza della Fallaci ci pesa. Nessuno, dopo di lei, ha avuto il coraggio di continuare la sua battaglia in maniera così radicale come le situazioni estreme richiedono. Si, non manca chi ha ancora un po’ di buon senso, come Magdi Cristiano Allam. Ma anche la sua resta una voce piuttosto isolata e irrisa. Il guaio è che l’Occidente non si è svegliato e continua a morire lentamente, consumato da un cancro interno ben individuato dalla scrittrice di Firenze. L’Europa non riesce a vedere il nemico. Anzi, lo accoglie e lo coccola ignorando di allevare una serpe in seno.

Ricordare Oriana Fallaci a cinque anni dalla scomparsa significa dunque raccogliere il suo testimone e proseguire sulla strada da lei tracciata. Sarebbe banale e troppo comodo magnificare solo la sua libertà, il suo coraggio e la sua capacità stilistica.

A me piace piuttosto celebrare la sua rabbia e il suo orgoglio, la sua visione quasi apocalittica, la sua guerra verbale all’islam e al tumore che l’aveva colpita e che poi l’ha ammazzata. La minaccia islamica c’è ancora. E noi non dobbiamo girarci dall’altra parte. Dobbiamo combatterla, prima di tutto in casa nostra. Altrimenti sarà la fine.

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