Luca Doninelli per il giornale
17 agosto – Nel giorno dedicato alla preghiera affinché cessi la persecuzione contro i cristiani nel mondo mi trovo nel sud della Francia, in un angolo di paradiso frequentato da persone pacifiche e generalmente ricche.
Nulla contro i ricchi, naturalmente, a parte un certo contagioso effetto-ottundimento. In questi giorni gli intellettuali, della cui schiera faccio parte per mestiere, sono troppo occupati a raccogliere firme contro Amazon (che io, viceversa, amo) per mobilitarsi contro i massacri di cristiani.
Capisco il loro imbarazzo: il cristianesimo è un rimasuglio del passato e i cristiani vengono torturati, uccisi e gettati vivi nelle fosse comuni solo perché custodi di quel rimasuglio. Certo, possono essere difesi in quanto «esseri umani»: un argomento un po’ debole, però, se si considera a cosa è stato ridotto l’«essere umano» nell’epoca delle biotecnologie.
In realtà, però, anch’io, che m’indigno e protesto, in fondo faccio solo il mio mestiere: rispetto ai firmatari contro Amazon cambiano gli obiettivi, ma la vita che conduco alla fine è la stessa. In questo angolo di paradiso, l’indifferenza è un sentimento facile, e non si esprime in un «chi se ne frega», come vorremmo, perché il mondo non è fatto di buoni e cattivi. No. L’indifferenza si esprime spesso nella forma dell’indignazione, di un «ah no, questo è troppo», talvolta nella forma dell’iniziativa umanitaria, dell’assegno, dell’offerta a distanza. Io non so se tutto questo possa farci sentire la coscienza a posto, visto che io la coscienza a posto non l’ho mai avuta. Ma non credo. Credo piuttosto che faccia capolino, come tra le nuvole, un sentimento di impotenza, di inadeguatezza.
Anche nel sud della Francia si va a messa. Dove sono andato io c’erano fedeli di ogni lingua, ma la loro somma era molto esigua. Il prete, vecchissimo, invitava a pregare per i cristiani dell’Irak, ma la sua voce era flebile, e superava a fatica il confine del presbiterio. Tra dieci anni, mi sono detto, anche qui sventolerà l’insegna della mezzaluna. E mentre lo pensavo ho capito che cos’è l’indifferenza: non che questa cosa non mi dispiacesse, ma in fondo la consideravo come parte del corso naturale delle cose. Questa è la deriva vera: non il sentimento dell’indifferenza, ma questo giudizio (pseudoscientifico) secondo cui tutto va come deve andare. I punti di resistenza sono sempre meno numerosi: il buco nell’ozono, il surriscaldamento del pianeta, le specie animali a rischio estinzione, la dittatura informatica (vedi Amazon ). E poco altro.
Di fronte a tutto questo, che cosa ha da offrirci il cristianesimo, artefice di una civiltà che adesso lo rifiuta? Il cristianesimo ci offre la sorpresa della persona umana. Se il corso naturale degli eventi sentenzia che, nel mio angolo di paradiso, tra dieci anni sventolerà la mezzaluna, nulla può evitare che un giovane prete dalla fede ardente venga mandato qui, e che tra dieci anni grazie al suo lavoro la fede nel sud della Francia (o da qualunque altra parte) sia cresciuta anziché sparire. Già le testimonianze dei cristiani irakeni lo dimostrano: la persecuzione li sta aiutando a rendere più forte la loro fede.
Il cristianesimo non fa propaganda: la sua sede non è Roma, o Parigi, o New York, ma la persona umana, l’io. E l’io non si prevede, non appartiene al corso predeterminabile degli eventi. Perciò la Chiesa ha come suo primo compito l’educazione della persona, la crescita dell’io, la formazione di uomini che siano protagonisti: non per comandare, per dirigere stati o grandi aziende, ma per essere pronti ( estote parati !) a rispondere al grido che si leva dal mondo. Al cristianesimo non serve contrapporsi al corso degli eventi, né prendere le armi o fare grandi proclami. Servono uomini come questi, personalità adulte pronte non a grandi azioni, ma solo a dire «sì» a Cristo. Il resto, pagare con la vita (come San Pietro) o vivere fino a cent’anni su un’isola (come San Giovanni) è secondario.