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Gas lacrimogeno sulla folla: violati i diritti umani in Bahrain

Durante le azioni di protesta le autorità del Bahrain avvelenano sistematicamente gli oppositori con i gas lacrimogeni.

foto EPA

La notizia proviene da un rapporto steso dall’organizzazione “Medici per i Diritti Umani”. Per Washington Manama è un alleato chiave in questa regione, pertanto, come sottolineano i difensori dei diritti umani, sino ad ora gli Stati Uniti non hanno reagito in alcun modo a questa scandalosa situazione. Sostengono che Washington fa rispettare i diritti umani solo in determinati casi e il rapporto lo dimostrerebbe.

I “Medici per i Diritti Umani” comunicano che per reprimere le proteste di massa del paese le autorità del Bahrain impiegano metodi “inumani”. I difensori dei diritti umani sottolineano che per la prima volta nella storia dell’uomo “le autorità di un paese hanno praticato l’avvelenamento del proprio popolo”. Richard Sollom, il vicepresidente dell’organizzazione, ha personalmente annunciato che nel mondo non si era mai verificato un così massiccio impiego di veleni chimici. In risposta le autorità del Bahrain esortano a non credere a quanto scritto nel report e citano le conclusioni delle ricerche sugli avvenimenti di marzo 2011. In quel periodo infatti c’è stato il picco di agitazioni popolari, per reprimere le quali vennero addirittura impiegate le truppe della vicina Arabia Saudita. I soldati utilizzarono anche i gas lacrimogeni, ma i rappresentanti del governo affermarono che non era corretto parlare di repressione di massa.

I difensori dei diritti umani, di contro, rispondono che nel Bahrain le persone vengono avvelenate anche ora e i gas lacrimogeni non sono usati solo nelle zone di protesta. Sono stati registrati episodi nei quali i gas lacrimogeni sono stati lanciati anche in quartieri abitati; taniche piene di questa sostanza scagliati dentro le case dei cittadini, presunti partecipanti alle sommosse. Richard Sollom intende far sì che il rapporto venga esaminato dal Congresso degli Stati Uniti. L’attuale amministrazione non reagisce in modo adeguato alla situazione in Bahrain, come ritengono le persone che si impegnano nella difensa dei diritti umani. E’ possibile che questa inattività sia dovuta alla presenza del quartier generale della quinta flotta della Marina statunitense. O forse potrebbe esser correlata col fatto che la dinastia del Barhain è in stretti rapporti con l’Arabia Saudita, il principale alleato di Washington nel settore petrolifero. L’America dimostra che il rispetto dei diritti umani può esser inteso in molti modi diversi, aver diversi significati e cambiare a seconda degli interessi geopolitici di Washington, come pensa il politologo Vilen Ivanov:

Non c’è dubbio che gli USA abbiano due pesi e due misure diverse per quanto riguarda la cosiddetta lotta per la democrazia e per i diritti umani. E’ un meccanismo tipico che si ascrive nella concezione statunitense di politica estera. Quando serve ai loro interessi economici cambiano i regimi e i leader di uno stato, a questo scopo vengono proclamati gli slogan americani per la lotta alla democrazia. E’ un meccanismo collaudato, basta ricordare l’Iraq o la Libia.

Non è il primo rapporto sulla violazione dei diritti umani da parte di Manama. L’anno scorso, a seguito delle sommosse cittadine e della loro conseguente dispersione da parte delle autorità, molte persone erano rimaste ferite e i medici che li aiutavano sottoposti ad arresti di massa, informazioni rese note da “Medici per i Diritti Umani”. In quell’occasione Richard Sollom aveva affermato che si trattava di una violazione diretta alla Convenzione di Ginevra. Washington si limitò a non firmare il contratto per la fornitura di armi in Bahrain.

I politologi americani evidenziano che probabilmente la reticenza degli USA è correlata a questioni “religiose”: la maggior parte dei protestanti è di religione sciita. Pare che sostenerli potrebbe comportare un rafforzamento dell’Iran, cosa che la Casa Bianca non vuole nel modo più assoluto. Ciononostante, come sottolinea l’orientalista Elena Melkemjan, il “fattore iraniano” nella azioni di protesta in Bahrain è minimale:

La protesta non è mai sconfinata sul piano confessionale. Non sono solo gli sciiti ad intervenire contro le autorità, ma anche i sunniti. Le richieste che vengono avanzate sono di carattere politico. Chiedono delle riforme serie, esigono che il governo non venga guidato da un rappresentante della famiglia reale. Alcuni gruppetti sciiti sostengono l’Iran, ma non sono tutti. Gran parte dei sciiti in particolare l’opposizione parlamentare, sta cercando di ritrattare i legami con l’Iran. Più volte hanno affermato che sono prima di tutto cittadini del Bahrain e non sciiti.

Oltre a Washington i difensori dei diritti umani non hanno mai accusato Londra di selettività nei propri parametri sui diritti umani. Le autorità del Bahrain durante la guerra in Libia hanno attivamente sostenuto l’opposizione come ora “dimostrano nuovo supporto” ai ribelli in Siria. Al momento l’unico che ha offerto il suo aiuto all’opposizione del Bahrain è John Yates, ex assistente commissario della polizia britannica. Egli collabora come consulente del Ministero degli Interni del Bahrain per le riforme delle forze di sicurezza. Gli oppositori sostengono che i progressi sono evidenti. I servizi speciali con il compito di disperdere i protestanti hanno iniziato ad agire in modo più sistematico.

http://italian.ruvr.ru

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